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Categoria: La Città dell'Arte
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Pubblicato: Mercoledì, 14 Agosto 2019 00:12
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Scritto da Salvatore Rizzeri
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LA PITTURA NELLA CITTA’ DI RANDAZZO
di
Salvatore Rizzeri
Nel campo della pittura, così come in quello della scultura, Randazzo ha tale dovizia di opere che si può seguire attraverso esse quasi tutto lo svolgimento stilistico dell’arte siciliana. Essa infatti possiede opere del lontano sec. XIII, del quattrocento, in cui giganteggia la figura di Antonello, del cinquecento e via via dei secoli successivi, fornendoci così una prova non solo dell’importanza ed opulenza della città, ma soprattutto di una mentalità aperta all’arte e al progresso.
Le più antiche manifestazioni dell’arte pittorica in Randazzo sono gli affreschi della distrutta chiesetta degli Agathoi studiati magistralmente dal Prof. Enzo Maganuco, e l’altro della Madonna del Pileri. Entrambi, per lo stile, entrano nella corrente degli affreschi bizantini studiati dall’Orsi e dall’Agnello. Le figure di S. Agata, di un Martire, di un Apostolo e soprattutto l’Annunciazione che adornava ai lati il frontale dell’arco trionfale, con i loro colori a base di rosso cremisino, giallo, marrone qua e la sbiaditi dal tempo e dall’umido, ci rivelano la loro appartenenza ad un’età in cui la tradizione bizantina, col suo scheletrismo, ancora improntava la pittura siciliana. E’ una pittura fredda e nello stesso tempo maestosa, solenne, in cui la calma e la immobilità delle figure, con i volti allungati, con il loro schema longilineo, ci mettono a contatto con uno stile veramente monumentale. Traspare però nel disegno dell’anonimo artista quella tendenza al rinnovamento della sua arte che sfocerà in quella corrente che ci porterà alla Pietà di S. Martino, al trittico Fisauli, a quel quattrocento siciliano sublimato dall’arte di un Antonello.
Probabilmente contemporaneo ai distrutti affreschi sopra ricordati è quello della Madonna del Pileri nella chiesa di S. Maria. Certamente appartiene a quel gruppo di immagini della Madonna che numerose si riscontrano in molte città della Sicilia. Peccato che il tempo ha inciso profondamente, con i suoi morsi, l’immagine e la bellezza della nobiltà di cui era improntata tutta l’icone. Appartiene probabilmente a questo secolo anche il rovinato affresco della chiesa della Pietà. L’atroce dolore che traspare dal volto evanescente del Cristo, la truce deformità del corpo martoriato, ci fanno pensare che esso entri nella cerchia di quelle figure del Cristo morente nello strazio più grande perché potesse commuovere e spingere all’ascesi.
Tutto il trecento, agitato dalle lotte politiche tra Svevi ed Angioini, nel campo della pittura si esaurisce in quelle opere tradizionali nelle quali, qua e là, si intravede il timido tentativo di rompere il tradizionalismo bizantino, per accostarsi ad un’ideale aderente alla realtà più naturale nelle espressioni. A questa corrente di timido rinnovamento appartiene l’ancona della Pietà di S. Martino. Cedono in essa i rigidi lineamenti bizantini per dare posto ad un pathos di una potenza insospettabile in un maestro del primo quattrocento. Una tragica calma, uno spasimo vibrante nel volto della Madre Dolorosa, un Cristo spiritualizzato, delicatamente stretto dalle dita esili ed allungate delle mani di Maria, danno alla scena una efficacia inaspettata. L’opera si ricollega all’arte dei migliori maestri del quattrocento siciliano che, in parte, fu dominato da influenze straniere ma seppe creare un Tommaso de Vigilia, un Pietro Ruzzolone e l’infinita schiera di pittori di croci iconoclastiche che popolano le chiese della Sicilia.
Alle influenze straniere si ricollega invece l’ormai disperso Trittico Fisauli: in questo secolo infatti sono operanti nell’Isola maestranze spagnole, lombarde, fiamminghe, pisane che larghe tracce lasciarono nel mondo dell’arte in Sicilia. Il Trittico Fisauli è una di queste opere che il Maganuco attribuì a Turino Vanni da Pisa. In esso su sfondo dorato campeggia la figura della Madonna reggente sul grembo il Bambino; sui due sportelli laterali sono riprodotti rispettivamente S. Gregorio e una Santa Martire. In alto sulla cuspide centrale vi è una Pietà, ai due lati la Vergine e l’Angelo Annunziante.
Come conforto per la perdita di questa opera insigne ci rimangono le miniature del libretto eburneo della B.ssa Giovannella De Quatris. Sono sei e rappresentano l’Annunziazione, la visita a S. Elisabetta, la Natività, la Circoncisione, la Crocifissione e il Martirio di S. Sebastiano. Riprodotte su fogli di pergamena incollate a tavolette di avorio, presentano tutte un unico stile. Il paesaggio, le torri, la decorazione degli sfondi o dei particolari ci richiamano le costruzioni quattrocentesche della città di Randazzo.
La seconda metà del quattrocento è improntata da un grande maestro del pennello e del colore: Antonello da Messina. Educato alla scuola di Napoli, centro eclettico di varie correnti artistiche, apprese il meglio delle scuole borgognona, fiamminga, veneta, lombarda, e creò la sua arte universale fatta di luminosità plastica del disegno di alto lirismo spaziale, improntando di sé tutto il cinquecento siciliano e italiano. Nel 1473 la Confraternita della SS. Trinità di Randazzo commissionava a Giovanni Saliba un gonfalone che venne successivamente dipinto ed indorato dal Maestro. [1] Nel 1478, appena un anno prima della sua morte, il Rettore della Confraternita di Santa Maria, Ruggiero De Luca, commissionava ad Antonello una bandiera di zendalo rosso, dipinta con bellissimi colori azzuolo ed oro.[2] Purtroppo anche queste seguirono la sorte delle tante opere dell’artista. L’esistenza a Randazzo di tali stendardi è accertata da documenti inoppugnabili; irreparabilmente perdute, purtroppo a nulla sono valse le ricerche di studiosi a diradare il mistero di queste scomparse. Della scuola di Antonello ci rimangono però due splendide opere: il Trittico della chiesa di S. Nicola e il Polittico custodito il quella di San Martino, quest’ultimo attribuito ad Antonello de Saliba nipote del Maestro.
Col sorgere del nuovo secolo, nuovi indirizzi, nuovi interessi s’impongono e l’orientamento della pittura siciliana viene guidati verso il manierismo romano portato nell’Isola da Cesare da Sesto, da Vincenzo Pavia e nell’ultimo scorcio da Polidoro da Caravaggio, il cui passaggio fu considerato dagli storici locali come un avvenimento di grande importanza. Di questo periodo sono tre quadri della chiesa di S. Maria: La Pentecoste di ignoto, l’ancona del Caniglia (1548), ma soprattutto la tavoletta del Raffaello di Sicilia – Girolamo Alibrandi -, rappresentante il Miracolo della lava. Il quadro della Pentecoste, appartenente alla vecchia e distrutta chiesa dello Spirito Santo, fu segnalato per la prima volta dal Di Marzo che lo definì un’opera veramente rappresentativa della pittura del ‘500. Un manierismo arcaicizzante appare invece nella tavola di G. Caniglia, ancora attaccato al vecchio schema bizantino della “Dormitio Virginis”.
Ben diversa la tavoletta dell’Alibrandi, opera di grande efficacia che risulta non solo dalla grandiosità del disegno che in uno stile di sintesi raggiunge chiarezza e immediatezza, ma soprattutto dall’uso del colore, esempio di arte raffinata, trasmessa all’artista dalla scuola del grande Leonardo.
La fine del manierismo in Sicilia viene segnata dall’attività di Filippo Paladino. La sua arte caratterizzata dall’allungato e ricco modello dei corpi e da figure che campeggiano tra luci ed ombre, attenuate nello sfondo da gradazioni chiaroscurali, fu continuata in Sicilia da una numerosa schiera di seguaci fra cui famoso Giuseppe Salerno detto lo “Zoppo di Gangi”. Di questo pittore che lasciò una infinità di opere dal disegno monumentale in cui sfoggia un colore composto e lirico nello stesso tempo, vi è in Randazzo, nella chiesa di S. Nicola, un piccolo quadro di San Gregorio Magno, che il Maganuco assegna al primo periodo di attività dell’autore. Altra opera del primo seicento è la Trasfigurazione della chiesa dei Cappuccini, attribuita al Lanfranco, unico rappresentante in Randazzo della grande scuola nazionale barocca.
Michelangelo Merisi, il “Caravaggio”, fuggito da Roma e da Malta, fa la sua comparsa in Sicilia dove dà, con la sua arte potente, un colpo decisivo al manierismo e crea una scuola a Messina che dominò nell’Isola per tutta la prima metà del secolo.
Il fiammingo Van Hombracken, appartenente a questa scuola, ha lasciato in Randazzo una Crocifissione di potente realismo. Essa rappresenta l’opera più bella che possiede la chiesa di S. Maria. Lo sfondo tenebroso da cui balzano, nel loro chiarore livido, le figure del Cristo in croce, di Maria e di Giovanni, il tragico che ispira tutto il quadro, rafforzato da questi violenti scuotimenti di luce, mentre ci dicono che esso fa parte di quella corrente del seicento siciliano che fa capo al Merisi, ci presenta un’opera di un’efficacia artistica di grande realismo.
Allo stesso ambito appartengono le altre tre opere della stessa chiesa, due attribuite al randazzese Onofrio Gabriello: Il Martirio di Sant’Agata e il Martirio di San Lorenzo ed il terzo, il Martirio di San Sebastiano del 1614, al siracusano Daniele Monteleone. Per il loro sfondo tetro e per la tecnica illuministica che chiarifica i personaggi con un alto senso plastico, sono certamente opere della corrente caravaggesca.
Ad Onofrio Gabriello, artista formatosi alla scuola del Preti, appartengono anche numerose opere di diverso stile che il maestro ha lasciato in Randazzo, sua patria: Cristo fonte di Grazia nella chiesa di S. Nicola, l’Angelo Custode in S. Martino; la Madonna del Rosario e la Madonna con S. Gaetano nella chiesa dell’Annunziata; S. Antonio di Padova della Famiglia Fisauli e una Resurrezione di Lazzaro, andata perduta, di cui esiste una copia presso la Famiglia Vagliasindi. A questo medesimo artista viene attribuita una leggiadrissima Natività sempre nella chiesa dell’Annunziata.
A queste opere bisogna aggiungere gli affreschi della volta della chiesa di Santa Maria opera di Filippo Tancredi, messinese. Interpellato dal Real Amministratore della chiesa venne a Randazzo ad affrescare la volta della navata centrale della Basilica con i cinque misteri mariani: l’Annunziazione, la visita a S. Elisabetta, la Circoncisione, la Presentazione al Tempio e la Purificazione.
Altro autore di questo secolo è il De Thomasio che ci ha lasciato un quadro della SS Trinità, un tempo nella chiesa di S. Francesco di Paola, adesso in quella di San Nicola. E’ una composizione armonica che nel suo colore a tinte leggiadre e soffuse entra negli schemi che caratterizzarono la seconda metà del secolo.
Tutto il settecento fu dominato dalla corrente decorativa, che pur creando indubbi effetti artistici in moltissime composizioni, fece predominare l’accessorio sull’essenziale. L’eredita del settecento con i suoi movimenti vari fu raccolta da due pittori che in Randazzo lasciarono opere di vero pregio: Giuseppe Velasques (1750-1827) e Giuseppe Patania (1780-1852). Il primo dominò la scena dell’arte per tutto il suo secolo che vide in lui un artista di grande valore; come afferma l’Accascina, esso è l’ultimo e il più grande affreschista del settecento che seppe infondere con l’accuratezza delle linee e con la sua tavolozza smagliante un’impronta singolare e splendente nelle sue opere. Le sei tele dipinte per la chiesa di Santa Maria fanno bella mostra di se nella splendida cornice della basilica, due delle quali portano la sua firma: L’Annunziazione, l’Assunzione, l’Incoronazione di Maria V., il Martirio di S. Giacomo, il Martirio di S. Andrea e quello che io definisco un “quadro di bottega”, La Sacra Famiglia. In queste opere rivela la sua arte in pieno, raggiungendo la perfezione nel quadro del Martirio di S. Andrea, che egli reputò il migliore dei sei.
Della scuola del Velasques è Giuseppe Pataria, il migliore rappresentante della pittura neo-classica della Sicilia in cui dominò incontrastato per un cinquantennio. Di lui ci rimangono il Miracolo di S. Benedetto e il Martirio di S. Bartolomeo nell’omonima chiesa e almeno due dei quadri della chiesa del Collegio: la Trasfigurazione e il quadro di S. Basilio, la sua opera migliore.
Alla corrente neoclassica appartengono ancora le opere di Michele Panebianco di Messina (1806-1873) e Giuseppe Gandolfo di Catania (1792-1855); l’uno e l’altro della scuola del Camuccini di cui conservano la tendenza corretta e fredda. Del Panebianco abbiamo una bella Natività nella chiesa di Santa Caterina, del Gandolfo i ritratti dell’Abate Paolo Vagliasindi e di qualche altro componente della stessa nobile Famiglia.
Ultime manifestazioni pittoriche di un qualche valore, a Randazzo sono una Madonna col Bambino di Pietro vanni (1845-1905), della scuola del Franci e del Maccari, e il Battesimo di Gesù del randazzese Francesco Paolo Finocchiaro, copia di un analogo quadro del duomo di Ferrara eseguito dal Piatti. Ambedue si trovano nella chiesa di Santa Maria.
INDICE PROSPETTICO
DELLE OPERE DI PITTURA NELLA CITTA’ DI RANDAZZO
SECOLO XIII
Affreschi della chiesa degli Agathoi.
Affresco della Madonna del Pileri nella chiesa di Santa Maria.
SECOLO XIV
Madonna di Maniace nella chiesa omonima.
SECOLO XV
Miniature del libretto di G. De Quatris – Tesoro della chiesa di S. Maria.
Pietà della chiesa di S. Martino.
Affresco della Pietà, nella chiesa dell’Hecce Homo.
Turino Vanni da Pisa: Trittico Fisauli.
Polittico antonelliano, nella chiesa di San Martino.
Trittico antonelliano, nella chiesa di San Nicola.
Sportello di trittico con S. Lucia, nella chiesa di Maniace.
SECOLO XVI
Anonimo: Pentecoste, nella chiesa di S. Maria.
Caniglia: Dormizione, Assunzione ed Incoronazione della Vergine (1548), nella chiesa di Santa Maria.
Alibrandi: Il Miracolo della lava, nella chiesa di S. Maria.
Trittico della chiesa di Maniace (1555).
Affresco con Santo di casa Parisi (distrutto).
SECOLO XVII
Van Hombracken: Crocifissione, nella chiesa di S. Maria.
- Onofrio Gabrieli: Martirio di S. Agata. nella chiesa di S. Maria.
- Onofrio Gabrieli: Martirio di S. Lorenzo, nella chiesa di S. Maria.
- Onofrio Gabrieli: Cristo Crocigero, nella chiesa di S. Nicola.
- Onofrio Gabrieli: Angelo Custode, nella chiesa di S. Martino.
- Onofrio Gabrieli: Resurrezione di Lazzaro, nella chiesa di S. Martino.
- Onofrio Gabrieli: Madonna del Rosario, nella chiesa dell’Annunziata.
- Onofrio Gabrieli: Natività di Gesù, nella chiesa dell’Annunziata.
- Onofrio Gabrieli: S. Antonio di Padova, nella chiesa di Cristo Re.
- A. Bova: Madonna con S. Gaetano, nella chiesa dell’Annunziata.
Daniele Monteleone: Martirio di S. Sebastiano (1614), nella chiesa di S. Maria.
Zoppo di Gangi: S. Gregorio Magno, nella chiesa di S. Nicola.
De Thomasio: Trinità (1651), nella chiesa di S. Nicola.
Ignoto: Hecce Homo, della Famiglia Vagliasindi.
Ignoto: Madonna con le anime del Purgatorio, della Famiglia Finocchiaro.
Ignoto: Natività di Gesù, della Famiglia Finocchiaro.
Ignoto: S. Antonio Abate e S. Paolo eremita, della famiglia Finocchiaro.
Ignoto: Guarigione del cieco, della Famiglia Finocchiaro.
Ignoto: Martirio di S. Placido, nella chiesa di S. Barbara.
Ignoto: Martirio di S. Barbara, nella chiesa omonima.
Lanfranco di Jacopo Imperatore: Trasfigurazione (1612), nella chiesa dei Cappuccini.
Ignoto: Deposizione dalla Croce, nella chiesa di S. Martino.
Ignoto: Ultima cena, nel refettorio del Monastero di S.M. di Gesù.
Ignoto: Gesù con i Discepoli ad Emmaus, nella chiesa di S. Nicola.
Ignoto: Crocifissione, dipinto su tavola, nella chiesa di S. Nicola.
Ignoto: Crocifissione, dipinto su tavola, nella chiesa del Carmine.
SECOLO XVIII
Filippo Tancredi: Affreschi della volta della chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Martirio di S. Andrea, nella chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Annunziazione di Maria V., nella chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Assunzione di Maria V. (1809), nella chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Incoronazione di Maria V., nella chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Martirio di S. Giacomo, nella chiesa di S. Maria.
- Giuseppe Velasques: Sacra Famiglia (opera di bottega), nella chiesa di S. Maria.
Ignoto: Affresco dell’Ultima Cena nell’ex Convento del Carmine.
SECOLO XIX
- Patania: Miracolo di S. Benedetto (1843), nella chiesa di S. Bartolomeo.
- Patania: Martirio di S. Bartolomeo (1848), nell’omonima chiesa.
- Patania: Trasfigurazione, nella chiesa del SS Salvatore della Placa (Collegio S. Basilio).
- Patania: S. Basilio Magno, nella chiesa del Collegio Salesiano.
La Farina: Martirio di S. Barbara (1814), nella chiesa del Collegio.
La Farina: Sacra Famiglia, nella chiesa del Collegio.
- Panebianco: Natività di Gesù (1851), nella chiesa di Santa Caterina.
- Gandolfo: Ritratto dell’Abate Paolo Vagliasindi (1844), presso la famiglia
- Vanni: Madonna in trono col Bambino, nella chiesa di S. Maria.
Attinà: Resurrezione di Lazzaro (1869), presso la Famiglia Vagliasindi.
SECOLO XX
F.P. Finocchiaro: Battesimo di Gesù (1903), nella chiesa di S. Maria.
[1] S. Rizzeri - Le Confraternite in Randazzo - Ms. inedito.
[2] S. Rizzeri - Le Confraternite in Randazzo - Ms. inedito.
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Categoria: La Città dell'Arte
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Pubblicato: Martedì, 13 Agosto 2019 23:52
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Scritto da Salvatore Rizzeri
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L’ARCHITETTURA RELIGIOSA
di
Salvatore Rizzeri
Chi stanco dalle cure di un secolo assillato, cercasse la pace confortata dall’armonia della natura e volesse ristorare le forze dello spirito alle più pure fonti di un’arte genuina, chi volesse rivivere un attimo del passato pieno di suggestivo decoro e fantasioso sfarzo, venga quassù a Randazzo tra le famose cattedrali dalle poderose absidi turrite di nero basalto, dagli svettanti campanili merlettati in bifore e di trifore. Tutto qui parla al nostro spirito: l’arte, i licheni rugiadosi, i rosolacci rosseggianti, le pittoresche ombrellifere giallastre, ancora cantano, nella loro esuberanza invadente, la storia misteriosa del leggendario passato della città, quando, pieni di sfarzo e di decoro, Costanza, Re Pietro d’Aragona, Federico lo Svevo e il triste e biondo Imperatore del mondo, Carlo V, passavano tra le viuzze della città, in mezzo a poderose squadre di guerrieri, sferraglianti in un assordante rumore di picche e di corazze.
Questa nota suggestiva alla cittadina di Randazzo è impressa dal fatto che racchiude in sé tutta la serie delle manifestazioni stilistiche dell’arte medievale siciliana, non solo nelle abitazioni civili, ma soprattutto nelle vistose costruzioni religiose delle tre cattedrali, che, con la loro massa poderosa, danno alla città una nota caratteristica non facilmente riscontrabile altrove.
Per abbracciare tutta la gamma stilistica delle costruzioni religiose, dobbiamo fare un lungo passo indietro nei secoli e spingerci all’età tenebrosa della fine delle invasioni barbariche, quando subentra in Sicilia quella civiltà bizantina che per tanti secoli, fino alla invasione araba, improntò di se tutta l’Isola.
E’ risaputo che il territorio dell’alto Alcantara presenta ancora vistose tracce di quella penetrazione della civiltà greca che cominciata con Dionisio il Vecchio, intensificatasi con Gelone e Ducezio, perdurò lungo le rive del vecchio Onobola, fino al settimo secolo dell’Era Volgare. Le Cube, vecchie chiese bizantine, sono ancora li a darci la più considerevole testimonianza di questo periodo non breve della nostra storia. Cuba, dice l’Amari, è una parola araba con cui le popolazioni locali indicano le costruzioni chiesastiche a pianta centrale, sormontate da una cupola depressa. A Randazzo ne abbiamo tre, lontane dall’attuale centro abitato, nelle contrade Feudo, Jannazzo e Acqua fredda.
Queste tre costruzioni, che non rimangono isolate nella Valle dell’Alcantara, si ispirano ad uno schema iconografico vario, almeno come si può giudicare dalle rovine purtroppo ancora non scientificamente esplorate. Sebbene non si abbiano dati cronologici di sorta, attraverso lo schema della costruzione possiamo assegnarle al VI sec. d.C. Lo schema è semplicissimo: una navatella rettangolare, una absidiola sormontata da una semicalota sferica e poi le mura perimetrali con finestrelle a feritoia.
Queste costruzioni sono di una semplicità lineare e di un alto valore storico, perché oltre a testimoniare la loro antichità, esse sono immerse in un abbondante detrito archeologico in cui predomina il rosso dei cocci di laterizio, che ci rivela come in quelle contrade ebbe stanza una civiltà.[1]
Dal periodo bizantino, testimoniato dalle predette Cube, bisogna fare un salto in avanti di parecchi secoli per trovare qualche cosa di veramente artistico in Randazzo. La civiltà araba, anche qui, come del resto in tutta la Sicilia, non ci ha lasciato nulla. La città, come centro di una certa importanza, non può farsi risalire oltre il IX sec. d.C. Essa acquistò la sua influenza politica solo nel secondo periodo normanno, quando l’elemento lombardo, trapiantatosi nella città, attraverso fortunose vicende storiche, riuscì ad imporsi all’elemento greco e latino che costituiva la sua popolazione, e a dare una poderosa spinta alla sua affermazione politica nel Regno.
E’ questo il periodo delle origini, scialbo, fortunoso che non lasciò il tempo alle tre popolazioni non ancora bene amalgamate, di occuparsi di altre attività fuori delle politiche. Su di esso impera la più impenetrabile oscurità non diradata com’è, né dai documenti d’archivio, andati distrutti nei secoli susseguenti, né dalla esistenza di alcun genere di opere architettoniche; unico testimone forse è la parte inferiore del campanile di San Martino.
La chiesa di S. Martino, col suo campanile agile come uno stelo di fiore, aggraziato nella sua sobria policromia di bianco e nero, s’innesta, secondo l’opinione del Leopold, nel lasso di tempo che intercorre tra il X e il XII secolo. La nota più caratteristica di esso sono le finestre archiacute a coppia che si aprono nel primo e nel secondo piano. Volgiamo la nostra attenzione alle loro parti decorative ed esse ci forniranno determinazioni di grande interesse.
I capitelli, la base delle colonnine, gli ornati che vi sono riprodotti, mostrano una diversa stilizzazione; nelle modanature del primo piano essa ci può portare fino al X secolo, mentre al secondo piano troviamo in tutto il complesso una maturità d’arte di molto superiore specie nella ornamentazione dei capitelli che ci richiamano la stilizzazione gotica del periodo svevo.
La stessa cortina muraria a conci lavici squadrati mostra, inoltre, una vera discontinuità non solo nel disegno dei conci ma perfino nella qualità della pietra adoperata, giacché nella parte inferiore, al materiale lavico si mescola il materiale arenario, mentre in quella superiore è uniformemente lavico. Queste constatazioni ci portano alla conclusione che il campanile di S. Martino nella sua parte inferiore è l’edificio più antico della città di Randazzo e probabilmente sarà appartenuto ad una costruzione anteriore all’anno mille su cui, in età normanna, si è innestato il primo e il secondo piano, e in età posteriore, probabilmente all’inizio del XIII sec., fu aggiunto l’ultimo piano a poderose trifore mitrate che ci richiamano gli edifici della vicina Taormina - Palazzo del Duca di S. Stefano e Abbatiazza - cui devono anteporsi nel tempo a causa della loro ornamentazione floreale più primitiva e più rude.
Il periodo svevo ci dà un altro gioiello d’arte che, nonostante i rimaneggiamenti, è la più bella costruzione della città, l’espressione sincera ed immediata di una sensibilità artistica sorprendente. Si tratta della Basilica di Santa Maria che, come leggiamo in una lapide, fu costruita nel periodo di tempo che va dal 1217 al 1239. La parte più genuina della costruzione è la cortina muraria esterna assieme alle absidi che formano nell’insieme una massa poderosa di nero lavico a conci squadrati e ben connessi di grandissimo effetto. Le absidi si innalzano massicce, come torri poderose su uno sperone a grandi conci lavici che ci richiama in parte la zoccolatura dei torrioni del Castello Ursino di Catania.
Il più superficiale osservatore però non può non accorgersi della sovrapposizione di stili che si alternano in tutto l’armonioso complesso di questa splendida chiesa. La brama del grandioso che ha improntato da tempo immemorabile gli amministratori della ricca fabbriceria ha fatto si che la chiesa ora ci appaia come la somma armoniosa e suggestiva di tutte le correnti artistiche dell’ultimo millennio. Infatti all’iniziale periodo romanico-svevo delle absidi e della cortina muraria segue il secondo prettamente aragonese, testimoniato dalla linea delle bifore; segue quindi la linea quattrocentesca dei poderosi portali di mezzogiorno e di tramontana e poi ancora quella barocca delle cornici delle finestre che si aprono nelle navatelle laterali, pesanti nel loro barocco borgheseggiante, che piglia respiro con l’armoniosa facciata a modanature di arenaria aurata, tipica costruzione di gotico moderno.
Essa sostituì nel secolo passato il vecchio campanile trecentesco, già in rovina, innalzato in puro stile gotico-svevo da un vecchio maestro - Magister Petrus Tignosus – il cui nome leggevamo su una lapide della vecchia torre campanaria.
Allo stesso periodo svevo risalgono le tre chiesette di S. Stefano, degli Agathoi e di S. Vito che è ormai l’unica rimastaci delle tre, dopo l’immane sfacelo dell’ultima guerra. Di queste la chiesetta degli Agathoi, aveva un particolare pregio di indubbio valore artistico: essa infatti era ornata da affreschi che si estendevano su tutte le pareti, studiati dal Prof. Enzo Maganuco, il quale sulla scorta di un documento riportato da Rocco Pirro nella sua “Sicilia Sacra”, in essa individuò la chiesetta di S. Maia in Memore dedicata nel 1237.[2]
Ad una corrente d’arte più evoluta appartengono le chiesette di S. Maria dell’Agonia e di S. Maria della Volta. La prima più antica della seconda forse di un secolo, sta per essere completamente recuperata dopo lunghi restauri. La chiesa di S. Maria della Volta invece è una costruzione del primo ‘400. Anch’essa manomessa dai continui riattamenti segna sicuramente il passaggio dal gotico al rinascimento.
L’interno della chiesa di Santa Maria (1594), rappresenta il trionfo della più pura linea rinascimentale, quella che ha saputo creare con Brunelleschi le chiese di S. Lorenzo e del Santo Spirito in Firenze. Del medesimo periodo, ma meno imponente e più informe nelle linee, è il rifacimento della chiesa di S. Nicola (1581), la più grande della Diocesi. Scomparse all’esterno e all’interno le strutture trecentesche, eccetto che nella parte absidale esterna, acquista la classica forma basilicale a croce latina su cui, nel sec. XIX si innalzò una cupola di forma slanciata che diede alla chiesa l’imponenza delle grandi basiliche.
La chiesetta di S. Gregorio, con la sua cupoletta a tenda e le sue finestrine in arenaria risale al cinquecento, così come i portali della chiesa dell’Hecce Homo e dell’Annunziata, datato 1584, di pure linee rinascimentali. Unica eccezione in Randazzo di arte chiesastica barocca, è il portale della chiesetta di Santa Caterina, mentre la facciata della chiesa di San Nicola, dell’ultimo seicento, rappresenta l’anello di congiunzione tra la linea cinquecentesca e quella settecentesca. Essa è la più solenne espressione del barocco temperato. A cavallo del seicento e del settecento sta anche la facciata della chiesa di S. Martino, molto vicina nello schema a quella di S. Nicola. Essa è però più sobria, ma anche più snella in tutta la sua composizione.
Questo stesso equilibrio espresso dalle linee classiche baroccheggianti troviamo nel portale centrale della chiesa di San Bartolomeo (1637), che coi suoi capitelli di inusitata forma Jonica ci dà un’esempio di stile e di gusto di indiscusso pregio.
L’espressione più pura del settecento è ben rappresentata nella chiesa del Collegio, costruita dai Basiliani nel 1760 e dedicata al Salvatore. La facciata si presenta solenne e massiccia nelle sue linee schematiche improntata, dal materiale lavico, ad una ieratica serenità.
INDICE PROSPETTICO DELLE OPERE
DI ARCHITETTURA RELIGIOSA A RANDAZZO
SECOLI VI – VIII (Epoca Bizantina)
Cuba di Santa Anastasia.
Cuba di Imbischi.
Cuba di Jannazzo.
SECOLI X – XI (Epoca Normanna)
Campanile di San Martino (I° piano).
SECOLI XIII – XIV (Epoca Sveva)
Chiesa di Santa Maria (parte absidale: 1217 – 1239).
Chiesa di San Nicola (parte absidale).
Campanile di San Martino (II° e III° piano).
Chiesetta di Santo Stefano.
Chiesetta di Tutti Santi (Agathoi).
Chiesetta di San Vito.
SECOLO XV (Epoca Aragonese)
Chiesa di Santa Maria della Volta.
Chiesa dell’Annunziata del Rovere bello.
Chiesa di Santa Maria dell’Agonia.
Porte laterali della chiesa di San Martino (primo rinascimento).
Portali laterali della chiesa di Santa Maria (primo rinascimento).
SECOLO XVI (Epoca Rinascimentale)
Interno della chiesa di Santa Maria (1594).
Chiesa di San Nicola (1587).
Chiesetta di San Gregorio.
Portale della chiesa dell’Annunziata (1584).
Portale della chiesa dell’Hecce Homo (Signore della Pietà).
SECOLO XVII (Età del Barocco)
Chiesa di San Bartolomeo (1637).
Finestre laterali della chiesa di S. Maria.
SECOLO XVIII (Epoca del Barocco settecentesco)
Facciata della chiesa di San Nicola (Arch. Venanzio Marvuglia).
Facciata della chiesa di San Martino (Anonimo).
Campanile di San Nicola.
Chiesa del Collegio San Basilio (1760).
Portale della chiesa di Santa Caterina (1753).
SECOLO XIX (Epoca Romantica)
Facciata della Chiesa di Santa Maria (Arch. Saverio Cavallari, Ing. F.sco Caldarera).
[1] Per maggiori approfondimenti si consulti il testo dello stesso autore: “Le Cento Chiese di Randazzo . . .” Catania 2008. Cap. I – Le Cube, pagg. 19 – 27.
[2] S. Rizzeri: La chiesetta degli Agathoi e i suoi affreschi. Monografia fruibile nello stesso sito.