1492 - L'Editto di Espulsione

1492 - L'Editto di Espulsione

Salvatore Rizzeri

LA SICILIA EBRAICA

 

1492 – L’Editto di Espulsione

Spagna 31 marzo 1492

“ Sapete bene, o dovreste saperlo, che, poiché fummo informati che in questi nostri domini c’erano alcuni cattivi cristiani che si dedicavano al giudaismo e si allontanavano dalla nostra santa fede cattolica, a causa soprattutto delle relazioni fra ebrei e cristiani, nelle cortes riunitesi a Toledo nel 1480 ordinammo che in tutte le città e i villaggi dei nostri regni e signorie gli ebrei dovevano vivere separatamente dagli altri, nella speranza che la loro segregazione avrebbe risolto il problema. Avevamo anche provveduto e ordinato che nei nostri suddetti regni e signorie fosse istituita un’Inquisizione: come sapete, il tribunale nacque più di dodici anni fa e opera ancora. L’Inquisizione ha scoperto molti colpevoli, come è noto, e dagli stessi inquisitori, oltre che da numerosi fedeli, religiosi e secolari, siamo informati che sussiste un grave pericolo per i cristiani a causa dell’attività, della conversazione e della comunicazione che [i cristiani] mantengono con gli ebrei. [Gli ebrei infatti] dimostrano di essere sempre all’opera per sovvertire e sottrarre i cristiani alla nostra santa fede cattolica, per attirarli con ogni mezzo e pervertirli al loro credo, istruendoli nelle cerimonie e nell’osservanza della loro legge […].

Per questo motivo, e per mettere fine a una così grande vergogna e ingiuria alla fede e alla religione cristiana, poiché ogni giorno diventa sempre più evidente che i suddetti ebrei perseverano nel loro pessimo e malvagio progetto dovunque vivano e conversino [con i cristiani], [noi dobbiamo] cacciare i suddetti ebrei dai nostri regni così che non ci sia più occasione di offesa alla nostra fede. Pertanto ordiniamo che quanto da noi stabilito sia fatto conoscere, e cioè che tutti gli ebrei[1]  e le ebree che vivono e risiedono nei nostri suddetti regni e signorie, a prescindere dallo loro età […], entro la fine di luglio lascino i nostri regni e signorie insieme con i loro figli […], e non osino mai più farvi ritorno.” 

L’editto del 1492

Così, scritto e firmato dal re Ferdinando e dalla regina Isabella, l’editto di espulsione degli ebrei del 31 marzo 1492.

Sostanzialmente diverso da quello spagnolo è l’editto di espulsione siciliano, in questo si sottolinea particolarmente il ruolo dell’inquisizione e del primo inquisitore, Tomas de Torquemada. Le cause che concorsero all’emanazione dell’Editto siciliano, nel 1492, furono tante e non tutte incisero in eguale misura, ma certamente il clima arroventato che si era creato in Sicilia, negli anni tra il 1487 e 1491, fomentato dalle folli predicazioni dei frati francescani e domenicani accelerò i tempi.

“ Le ragioni che portarono all’emanazione dei due provvedimenti vanno rintracciate in ambito politico, religioso ed economico. Infatti, il crollo dei due grandi modelli universali di matrice medievale, papato ed impero, aveva avuto come esito la nascita delle moderne monarchie nazionali, che nei secoli XI e XII iniziarono ad assumere un potere autonomo svincolandosi dagli obblighi nei confronti dell’imperatore; da qui la necessità di dare il via al processo di formazione di un popolo con una propria coscienza nazionale, unito sotto il profilo linguistico, delle tradizioni culturali e soprattutto sotto il profilo religioso. Nelle varie monarchie europee nella persona del re si esprimeva l’unità della nazione, da qui l’identificazione tra religione del sovrano e religione del popolo, insomma si trattava di rendere concreto il principio dell’ ubi unus dominus ibi una religio. Il processo di formazione degli stati nazionali era stato avviato, nel 1066, in Inghilterra ove si era stabilita una dinastia normanna, ad opera di Guglielmo I il Conquistatore, ed ove, in seguito, sotto Enrico II, si era già avuto uno scontro con la Chiesa. Anche la Francia, con Filippo II Augusto prima e Luigi IX il santo dopo, cominciava a liberarsi dalle strutture politiche medievali per avviarsi alla realizzazione di uno stato nazionale francese. La Spagna era in ritardo rispetto all’Inghilterra e alla Francia infatti solo, nel 1469, col matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona si comincerà a porre le basi per la formazione di una moderna monarchia nazionale.

Ovviamente la nascita di questi nuovi soggetti politici comportò, ovunque, pesanti scontri tesi a limitare lo strapotere dei feudatari e le continue ingerenze della Chiesa all’interno dei nuovi stati. Ma in Spagna la situazione era più complessa che altrove, la presenza di ebrei e di musulmani era consistente e di conseguenza compito arduo la formazione di un popolo unito sotto il profilo culturale e religioso. In più è necessario sottolineare l’atteggiamento fervidamente religioso dei sovrani spagnoli, che ebbe un particolare significato e peso politico, considerandosi gli stessi non tanto difensori del papato quanto della cristianità intera.

Uniti i regni di Castiglia e di Aragona, attraverso le nozze tra Isabella e Ferdinando un secondo passo, per la formazione di una monarchia spagnola, venne compiuto, nel 1492, con la sconfitta del regno di Granada, roccaforte dei musulmani. il titolo di “Cattolicissimi” re di Spagna, conferito loro dal papa ne legittimava, sicuramente, le imprese. Nel marzo dello stesso anno venivano emanati i due “editti” per l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e dalla Sicilia. Il principio dell’“unus dominus ibi una religio” era valso anche in Sicilia che, dopo le dolorose vicende che la videro contesa tra Aragonesi e Angioini con la cacciata di questi ultimi, si staccava da Napoli e diventava un regno indipendente che però finiva, inevitabilmente, col legarsi, per ben quattro secoli, alle sorti della Penisola iberica[2]”.

 

La suddivisione della Penisola Iberica prima della caduta di Granada 

“. . . Realizzato l’obiettivo di fare della Spagna un moderno stato nazionale, re Ferdinando, intendeva ora farne uno stato assoluto. A questo scopo era necessario modificare il rapporto tra la Sicilia e la Spagna e più precisamente liquidare i margini di autonomia di cui godeva l’Isola. Il programma, però, coinvolgeva anche la Chiesa di Roma, in considerazione degli interessi che questa aveva nell’Isola. In Sicilia, nonostante negli anni precedenti l’Editto di espulsione del 1492, l’odio antigiudaico avesse avuto come esito le stragi di Modica e di Noto e nonostante focolai di tensione fossero esplosi in tutta l’Isola, il Tribunale dell’Inquisizione e il successivo Editto di espulsione suscitarono l’ostilità del popolo e dei ceti dirigenti isolani, i quali capirono subito che il vero obiettivo di Ferdinando consisteva nel liquidare la semiautonomia di cui godeva la Sicilia. Le lotte tra gli inquisitori e i giudici siciliani, una volta fondata l’Inquisizione, vertevano sulla giurisdizione e su alcuni reati riservati dal re di Spagna al Tribunale e rivendicati dalle magistrature siciliane al proprio foro. Sul versante della Corte pontificia, il papa continuava a ritenere la Sicilia feudo della Chiesa di Roma, inoltre nell’Isola vigeva ancora il regime della Legazia apostolica e re Ferdinando, per diritto di nascita “legato pontifico”, esercitava in Sicilia poteri di patronato sulla chiesa locale, si occupava degli aspetti finanziari e della nomina dei vescovi, che il papa era tenuto a ratificare, insomma Ferdinando era al tempo stesso papa e re, tant’è che era chiamato “Sacra Maestà”. L’autonomia dell’Isola, che re Ferdinando intendeva liquidare, si identificava, in parte, anche con i diritti rivendicati dalla Chiesa di Roma. In Sicilia regnava il caos, esistevano due inquisizioni quella vescovile, unica legittima, e il tribunale spagnolo voluto da re Ferdinando e dall’Inquisitore Tomas de Torquemada. Nonostante il clero siciliano, subito dopo l’emanazione dell’Editto, sostenesse d’accordo con la curia di Roma, la giurisdizione vescovile, la bilancia pesava dalla parte di Ferdinando, infatti gli ebrei erano servi della camera regia, non dipendevano né dalla Chiesa, né da dai nobili feudatari, né dalle magistrature cittadine erano proprietà e peculio del re che disponeva anche dei loro corpi, come si legge nel testo dell’editto di espulsione siciliano:

E atteso che tutti i corpi degli ebrei che vivono e risiedono nei nostri regni, sono nostra proprietà e di essi per nostra real potenza possiamo decidere e disporre a nostra volontà [3].

La Chiesa di Roma e il clero, in virtù della servitù della camera regia potevano pronunziarsi solo se si verificano contrasti tra la legge mosaica e il rispetto dei dogmi cristiani, avendo, la giurisdizione vescovile, solo valore di verifica e di controllo. Fu questa complessa ed intricata maglia di relazioni, che intercorrevano tra la Spagna la Sicilia e la Chiesa di Roma, a indurre re Ferdinando e l’Inquisitore generale Tomas de Torquemada a stendere, per la Sicilia, un editto di espulsione diverso da quello spagnolo, studiato nei minimi particolari, in modo da poter reggere a qualsiasi genere di protesta, che il Cattolico si aspettava sia da parte del pontefice che da quella delle autorità siciliane.

Emanato il decreto la Chiesa di Roma non se ne rimase zitta, appellandosi al diritto canonico secondo cui i re cristiani non potevano espellere gli ebrei, ma l’Editto di espulsione era blindato, l’istituto della servitù della Camera regia, ivi incluso a bella posta, lasciava mano libera a re Ferdinando. Nell’Editto, gli ebrei venivano accusati sia di sollecitare i cristiani ad abbandonare la loro fede per abbracciare l’ebraismo:

dai Padri inquisitori della eresia e apostasia, siamo informati che sono stati trovati molti e diversi cristiani i quali sono passati o ritornati ai riti giudaici […] e che di detta eresia ed apostasia sono stati causa i giudei e le giudee dei nostri regni..”, sia di praticare il prestito ad usura…. Troviamo che i detti giudei per mezzo di gravissime ed insopportabili usure divorano e inghiottono i beni e le sostanze dei cristiani, esercitando con nequizia e senza pietà la pravità usuraia contro i detti cristiani[4] .

Accusa pesante, anche quest’ultima, specie se si considera da quale pulpito veniva la predica! Non se ne rimasero zitti neanche i Siciliani, che da politici consumati reagirono con determinazione e prudenza. 

Tre mesi dopo, in un atto senza precedenti, in una lunga lettera scritta dagli alti ufficiali del Regno di Sicilia al re Ferdinando contestarono una ad una le accuse a carico degli Ebrei scrivendo che in Sicilia non avevano mai tentato di convertire i cristiani e che il credito ad interesse veniva da loro praticato conformemente a quanto stabilito dalla Regia Curia e dalle Bolle pontificie.

“… Se fossimo a conoscenza  - scrissero - che gli ebrei costituissero causa di fomentare l’eresia o che per le loro conversazioni con i conversi provocassero occasioni di infedeltà, supplicheremmo Vostra Real Maestà non già che fossero espulsi, bensì che venissero bruciati.

Affermazioni queste che insieme all’accusa di usura vennero condivise dalle più alte magistrature siciliane e dallo stesso inquisitore La Pena, rappresentante in Sicilia dell’Inquisitore generale spagnolo Tomas de Torquemada. Pur attaccando il decreto nella sua ragion d’essere, complessivamente, i Siciliani agirono con oculatezza, avevano capito che con quell’Editto re Ferdinando, assieme agli altri suoi scopi, cercava l’occasione per entrare in conflitto con i siciliani e avere l’opportunità di revocare tutti i privilegi di cui godeva l’Isola. Era insopportabile l’idea che un monarca, che esercitava poteri assoluti nei suoi vasti domini, vedesse limitata la propria sovranità in Sicilia. Consapevoli di questo, le magistrature siciliane evitarono di accendere la miccia, elencarono i danni economici che avrebbe subito l’Isola e la stessa Camera Regia, danni incalcolabili se si considera che gli Ebrei spendevano circa un milione di fiorini l’anno per abiti, bevande, cibi, che sarebbe stata la fine dei fruttuosi rapporti di affari tra ebrei e cristiani e che, essendo gran parte degli ebrei artigiani, sarebbero venuti a mancare tutti quegli arnesi da lavoro, utili alla pesca, all’agricoltura all’edilizia, che essi stessi producevano. Fatte queste considerazioni, fu deciso di circoscrivere il contrasto alla sola espulsione degli ebrei, ben sapendo che nulla si poteva fare per i “servi della Camera Regia”.

Nonostante ciò, il sovrano preferì ignorare la richiesta delle forze locali e procedere alla cacciata. Gli ebrei avrebbero dovuto lasciare la Sicilia entro il 18 settembre 1492, un lasso di tempo troppo breve per risolvere tutti i problemi conseguenti al loro esodo. Perciò i magistrati di Palermo chiesero ed ottennero dal re alcune proroghe, la data ultima della partenza venne fissata al 12 Gennaio 1493.

Gli ebrei, costretti a lasciare la loro amata isola dopo più di quindici secoli di permanenza costante, sono costretti anche a lasciarla in fretta. I beni immobili comunitari, come le sinagoghe, furono sequestrati dal potere politico, venduti come nel caso della sinagoga di Palermo o trasformati molto spesso in chiese come nel caso delle sinagoghe di Salemi e Calascibetta, divenute chiese di S. Maria della Catena[5].

Tutti i beni personali furono venduti ai cristiani che, in questo modo, trassero profitto dalla fuga ebraica. Gli ebrei cacciati, dovevano anche pagare una tassa fissata dal potere politico per coprire tutte le spese che comportava un esodo del genere.

“ . . . L’ingordo re Ferdinando considerando che alle casse del regno sarebbero venuti meno gli introiti relativi a tasse, balzelli, regalie etc, sborsati dagli ebrei, impose loro una sorta di “tassa d’uscita” per la somma di 125 mila fiorini, una cifra enorme equivalente al valore di quanto avrebbero dovuto versare in circa due anni e mezzo di tassazione diretta.

Dopo quindici giorni dalla data di emanazione dell’Editto, fu pubblicata dalla Corona una lettera con la quale si dava agli ebrei la possibilità di evitare l’esilio purché si convertissero al cristianesimo. I due provvedimenti furono a bella posta distanziati nel tempo, re Ferdinando sperava in questo modo che la conversione degli ebrei apparisse come un fatto spontaneo, piuttosto che come una costrizione[6].

Tanti ebrei, a quel punto, preferirono convertirsi alla religione cattolica sperando così in giorni migliori e mantenendo in segreto la loro tradizione religiosa. Questi nuovi convertiti, chiamati anche marrani (termine proveniente dalla parola marranos che in spagnolo significa porci)[7]. con il loro atto di conversione, non solo erano considerati cristiani di “serie b” secondo la teoria razzista della santa inquisizione, ma vedevano anche crescere nei loro confronti il sospetto ed il controllo. Durante questo periodo tanti dei nuovi convertiti finirono sul rogo o nei sotterranei dell’inquisizione, dove venivano torturati per ammettere la loro appartenenza alla religione giudaica[8].

Per contro, buona parte degli ebrei che scelsero di lasciare l’isola, trovarono rifugio presso i paesi con cui avevano avuto rapporti commerciali precedentemente: l’Africa del nord, la Turchia, la Grecia ed il Medio Oriente. Fino al secolo scorso esisteva ad Istanbul una sinagoga chiamata Messina, distinta da quelle chiamate Sicilia e antica Sicilia, come testimonianza della provenienza di tali comunità; a Salonicco, fino alla seconda guerra mondiale, esisteva una comunità di siciliani divisa in tre sinagoghe: Sicilia, antica Sicilia e la sinagoga di Beth Aaron. Altre testimonianze di comunità siciliane in Grecia si trovano a Leptano, Arta, Trikkala, Castoria e Janina. A Damasco, ancora nel 1523, esisteva una sinagoga dei siciliani e altre comunità si trovano in Siria, Tripoli, Cairo e Beirut[9]

 

La diaspora degli ebrei siciliani dopo il 1492

La Sicilia dopo Israele è il luogo dove sono più ricchi i giacimenti culturali della tradizione ebraica, risalenti alle comunità di cui si è parlato e che per 1500 anni hanno convissuto ed interagito con la nostra civiltà. Ma la Sicilia è anche il luogo dove, purtroppo, la memoria, la cultura e le tracce della presenza ebraica, sono state sistematicamente rimosse dalla presenza cosciente della popolazione attraverso un processo di cancellazione storica e delegittimazione culturale iniziata con l’Editto di espulsione del 1492.

 

[1]  Luis Suárez Fernández: Documentos acerca de la expulsión de los judíos, Valladolid, Csis, 1964, pp. 392-393.

[2] Rosa Casano del Puglia: L’editto d’espulsione degli Ebrei dalla Sicilia 1492 – Brigantino - Il Portale del Sud.

[3]  Editto per la Sicilia del 1492.

[4]  Editto per la Sicilia del 1492.

[5]  B. e G. Lagumina: op. cit., vol. III doc. DCCCXCIV, p. 45; doc. MXXXXL, p. 273; doc. MLI-MLIV, pp. 280-284.

[6]  Rosa Casano Del Puglia: 1492 L’editto d’espulsione degli ebrei dalla Sicili. Op. cit., Dal sito www.ilportaledelsud.com

[7]  B. e G. Lagumina: op. cit., vol. III, doc. MXII, pp. 220-227; doc. MXIV-MXXII, pp. 228-252; doc. MXXXIV, p. 264, doc. MLV, p. 284  286,  doc. DCCCCXV, p. 77; doc.          DCCCLXXVII, pp. 96; doc. DCCCCXL, pp. 113-115.  

F. Renda: La fine del giudaismo siciliano- ebrei marrani e inquisizione spagnola prima, durante e dopo la cacciata del 1492, Sellerio, Palermo, 1993, pp. 120-169.

[8]  J. PÈREZ: Historia de una tragedia, la expulsiòn de los judìos de Espana.  Barcelona, 1993, pp. 55-75; cfr. F. Renda , op. cit.

[9]  S. Schwarzfurchs: The sicilian jewish communities in the Ottoman empire, in Italia Judaica, op. cit. , pp. 398-41.