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Don Giuseppe Plumari
Uno storico municipalista del XIX secolo
di Maristella Dilettoso
Giuseppe Plumari, uomo di chiesa e di cultura, era nato a Randazzo il 17 agosto del 1770. Il padre, don Candeloro, faceva il notaio, e la madre, Paola Emmanuele, discendeva da un’antica famiglia locale. Nonostante appartenesse alla media borghesia, egli dovette sempre fare i conti con le ristrettezze economiche della famiglia, e se già il padre si vedeva costretto, per arrotondare i suoi magri proventi, a far l’organista nelle chiese, lui si trovò sempre a lottare da solo per raggiungere quei risultati che il censo non gli aveva dato già per scontati, e rinunciare nel corso della sua vita, a tante aspirazioni. Aveva, per esempio, fatta istanza al Re per essere assunto come Cappellano Militare, e, forse dopo un accoglimento sfavorevole, dovette adattarsi all’ambiente del paese. Ambiente che inevitabilmente doveva andargli piuttosto stretto, sia per le naturali ambizioni dell’uomo, consapevole delle sue doti, sia per le invidie e ostilità in mezzo alle quali si trovò sempre costretto a vivere. Compì i primi studi presso il Convento dei Basiliani, e in particolare, per la retorica e le lettere, sotto la guida dall’Abate Giovanni Romeo. Fu proprio un episodio avvenuto in gioventù, un viaggio a Napoli nel corso del quale ebbe modo di visitare palazzi e musei, a risvegliare in lui l’amore per la storia e per le “cose antiquarie”. A 18 anni si recò a frequentare il Seminario di Messina, dove completò gli studi laureandosi in Teologia e Diritto. Fu ordinato sacerdote nel 1795.
Dopo un periodo di tirocinio a Palermo, ritornato nel paese natale, fu associato al clero della chiesa di Santa Maria, in qualità di Canonico della Collegiata. Nel 1814, alla morte dell’Arciprete Don Alberto Salleo, partecipò al concorso per l’Arcipretura, vincendolo: “questo - dice lo storico don Salvatore Calogero Virzì - fu l’inizio di tutte le traversie della sua vita perché, contestata da uno degli sfortunati concorrenti, Don Antonino Vagliasindi dei baroni del Castello, la sua nomina ad Arciprete, fu tradotto davanti ai Tribunali”. Ma fu anche la molla che, involontariamente, fece scattare nel Plumari nuovi interessi, dandogli al tempo stesso la possibilità di assecondarli. Infatti dovette trasferirsi a Palermo per due anni, dal 1815 al 1816, per seguire la causa, che poi avrebbe vinto in pieno, a seguito di tre diverse sentenze successive, ma la permanenza nel capoluogo gli offrì anche l’opportunità ed il tempo di frequentare archivi e biblioteche, di spulciare libri e documenti, scoprendo così la sua vocazione di storico, nonché di avvicinare dotti e studiosi del tempo, quali D. Vincenzo Castelli e D. Giovanni D’Angelo, che lo aiutarono ad affinare ed approfondire la già latente passione per la storiografia. Da queste frequentazioni, da questi studi, che D. Giuseppe Plumari integrò con la lettura degli storici municipali, quali Pietro Oliveri, Antonino Pollicino, Pietro Di Blasi, Pietro Rotelli, il notaio Prospero Ribizzi e Onorato Colonna, doveva scaturire l’enorme mole degli scritti su Randazzo, la sua storia, i suoi figli più illustri.
Di ritorno in patria, avrebbe potuto finalmente dedicarsi alla vita parrocchiale, preparando i giovani al catechismo, pronunciando orazioni e sermoni, e facendosi così apprezzare per le sue doti di oratore. Ma per l’Arciprete Plumari la tranquillità era ben lungi dall’arrivare: entrò subito in contrasto con gli Amministratori dell’Opera De Quatris – l’azienda costituita da lasciti e beni immobili assegnati alla chiesa di S. Maria dalla defunta baronessa Giovannella De Quatris - che in seno alla comunità randazzese costituivano una vera e propria potenza economica, e, per di più, dovette vedere sempre minacciata e messa in forse la sua stessa dignità ed autorità di Arciprete. Infatti, sulla scorta di una certa teoria, ormai da tempo consolidata, stando alla quale le chiese di Randazzo fossero ricettizie, ovvero istituzioni spontanee dove i vari membri godevano di parità assoluta, esercitando a turno, per esempio, le mansioni di parroco, la figura dell’Arciprete sarebbe venuta a ricoprire così un titolo privo di autorità giurisdizionale su tutto il resto del clero, e di conseguenza il Plumari dovette subire non poche angherie ed umiliazioni, specie da chi mal aveva digerito la sua nomina. Di fatto egli riuscì, soltanto nel 1839, alla morte del Decano D. Antonino Vagliasindi, a sedersi tranquillo sulla sospirata poltrona di Arciprete, e ad assumere i pieni e reali poteri, nonché la dignità, che tale carica comportava: “assommando le due dignità nell’unica sua persona, non ha più da tribolare per il riconoscimento dei suoi diritti e delle sue ambizioni cui tanto sensibile era il suo carattere “ (Virzì).
Si era anche fatto promotore dell’idea di creare una sede vescovile a Randazzo (la città allora, e fino al 1872, faceva parte della Diocesi di Messina), benché su questa sua proposta sarebbe poi prevalsa quella delle Autorità di Acireale. Non è da escludere che egli accarezzasse il sogno segreto di poter indossare per primo, e in patria, le insegne di Vescovo...
Morì il 1° ottobre 1851. Probabilmente fu seppellito in S. Maria, tuttavia, sicuramente a seguito dei vari rifacimenti della pavimentazione della basilica, e allo smantellamento delle pietre tombali già esistenti, della sua tomba non vi è oggi alcuna traccia. Strano destino, questo, per un uomo che lasciò un’opera immortale, e cui la città deve tanto! Don Virzì, che è la fonte più dotta, esauriente e attendibile, che ne conobbe e studiò per esteso l’opera, e che a tutt’oggi ne è considerato il più degno erede e successore, così lo descrive: “carattere ardente, fattivo, in parte intrigante e ambizioso... Il suo agire in parte ingenuo, fu quello di certi uomini che pensano di essere chiamati a raddrizzare le cose storte... a riformare il mondo con uno spirito di intransigenza che rivela la loro personalità”. A ciò va aggiunta, da un lato, la perenne condizione di ristrettezza economica in cui il Plumari versò per tutta la vita, e dall’altro la costanza, l’accanimento con cui egli si batté, per tanti anni e con ogni mezzo, per raggiungere il traguardo del pieno riconoscimento di quella dignità dell’Arcipretura che con tanta ostinazione e spirito di ripicca gli fu osteggiata per lunghi anni.
Troppo complesso sarebbe descrivere le diatribe, i colpi bassi, le battaglie che caratterizzarono la rivalità col Decano Vagliasindi e altri esponenti influenti del clero locale, ma la chiave di lettura di questa vicenda si potrebbe trovare forse inquadrandola nello scontro fra due classi sociali, un’aristocrazia titolata, fortemente aggrappata ai propri appannaggi e privilegi, cui era restia a rinunziare, ed una borghesia che, fattasi strada con i soli propri mezzi, vedeva negli studi una sorta di affrancamento e di riscatto sociale: a tal proposito non può sfuggire come Giuseppe Plumari non mancasse mai di aggiungere, al proprio nome, il titolo raggiunto con studio e sacrificio“Dottore in Sacra Teologia”, “Canonico in Sagra Teologia Dottore”, e finalmente “Unico Parroco Arciprete di Randazzo”.
Abbondante la sua bibliografia, almeno a giudicare dai titoli pervenutici, a testimoniare un impegno pastorale e culturale notevole e continuo. Fu grande oratore, convinto e infiammato, tant’è che pubblicò le sue omelie “animato, per non dire obbligato, dai buoni cittadini, che ascoltate le aveano con tanto piacere, e che avean veduto dalle stesse raccolto un frutto universale” come ebbe ad affermare con un pizzico di vanità, o piuttosto consapevolezza delle proprie capacità e dei propri meriti. È del 1821 l’Omelia nel giorno natalizio ed onomastico del Re Ferdinando I, del 1822 la Felicità dei popoli sotto la Religione Cristiana e sotto il Governo Monarchico, e la Infelicità dei popoli sotto le segrete società tendenti a distruggere la Religione e il trono, una Orazione funebre in morte di Ferdinando I (1825).
Altri scritti ancora furono dettati dall’intendimento di affermare le proprie tesi, come le Ragioni in difesa del diritto dell’Arciprete di Randazzo (1813), Sulla elezione dell’Amministrazione dell’Opera De Quatris, fatta dai parrocchiani di S. Maria ai quali s’appartiene (1815), una Allocuzione in difesa dei beni ecclesiastici appartenenti alla Collegiata di S. Maria, altri gli sono stati attribuiti: Orazione fatta al consiglio civico di Randazzo al 25 agosto 1813, e Poche idee sopra talune leggi da farsi ai termini dello statuto politico per la Sicilia (1848).
Ma la mole più cospicua è costituita dagli scritti su Randazzo, opera cui Plumari dedicò l’impegno di una vita. La Storia di Randazzo fu redatta in varie stesure, ne esiste pure un’edizione condensata presso la Biblioteca Zelantea di Acireale, depositatavi dall’Autore nel 1834. Come egli stesso afferma, fu incoraggiato nelle stesura dell’opera dall’amico acese Lionardo Vigo: “Avendo io nelle ore dell’ozio raccolte alcune memorie relative alla Storia di Randazzo, mia Patria, queste un tempo legger volle il Cavaliere Lionardo Vigo della Città di Acireale, qui venuto per curiosare... mi animò... Egli stesso a scrivere un Sunto della Storia mia municipale, con avermi incaricato di doverlo poi trasmettere all’ Accademia de’ Zelanti di Scienze, Lettere ed Arti di essa Città di Aci-Reale. Tanto io praticai nello stesso anno 1834”. Spiegherà poi che, trattandosi di un sunto, omise per brevità di citare gli autori consultati, offrendo così automaticamente il destro ad altri, in particolare all’altro storico dell’epoca, l’Abate Paolo Vagliasindi, di contestare le sue tesi, in particolare la teoria della pentapoli.
Secondo questa teoria, Randazzo sarebbe stata originata, a detta del Plumari, dalla fusione di cinque città, Tiracia, Alesa, Triocala, Tissa e Demena. Di fatto nella Storia di Randazzo trattata in seno ad alcuni cenni della Storia Generale di Sicilia, in 2 volumi, iniziata nel 1847 e conclusa nel 1851, l’anno stesso della morte, egli innesta la storia della Città sul ceppo della storia dei popoli e delle genti che abitarono la Sicilia e il Mediterraneo, fin dai tempi più antichi, attingendo agli autori greci e romani. La sua descrizione si fa via via più serrata e documentata, quanto più lo scrittore si avvicina ai tempi moderni. L’opera è corredata anche da disegni e schizzi, di mano dello stesso Plumari, d’indubbio valore documentario, per ricostruire monumenti non più esistenti o la topografia della città. Degno di menzione il Codice diplomatico, la Storia delle famiglie nobili di Randazzo, la Storia dei personaggi illustri di Randazzo che fiorirono per fama dì santità, concepita come un terzo volume della Storia.
Proprio questo volume, per volontà dello stesso autore, non sarebbe stato depositato presso l’Archivio di Palermo, ma lasciato alla città di Randazzo, nel caso si fosse reso necessario attingere notizie utili alla causa di beatificazione o canonizzazione di qualcuno dei suoi figli più meritevoli. “Gloria primaria ed unica della storiografìa randazzese” definisce l’Arciprete Giuseppe Plumari, in un eccesso di modestia, don Salvatore Calogero Virzì, e prosegue: “Egli è stato l’unico fra tutti gli storici della città a lasciarci una storia manoscritta che è, per l’enorme quantità di documenti consultati e che in parte trascrive e riporta, la fonte più attendibile e più informata degli avvenimenti del passato di Randazzo”. La sua importanza risiede anche, per noi moderni, nel potere attingere a piene mani, attraverso i suoi scritti, a fonti ormai perdute. Gli è stato rimproverato un eccesso di municipalismo, e qualche ingenuità storica. Ma Plumari è, e si dichiara egli stesso, storico municipale, e, quanto al resto, lo stesso Virzì, pur riconoscendogli una certa ridondanza e qualche carenza di critica storica, giustifica tali pecche spiegando come la sua opera vada comunque valutata
all’interno del contesto in cui si è generata, alla luce della storiografia del tempo. A noi non resta che inchinarci di fronte ad un impegno così costante, protrattosi fino alla morte. Da quelle pagine manoscritte, in una grafia elegante, ordinata, trabocca tutto l’amore per la sua città, “un tempo celeberrima, a nessun ‘altra Città del Regno seconda”, ma anche per la ricerca e per la storia. Come si legge nella dedica della Storia di Randazzo, Diruta dum patriae numeras monumenta vetusta, tum patriae surgit gloria nobilior, c’è un moto di ambizione, naturale in chi si accinge a un’opera grande, ma c’è anche spirito di servizio. E come sottovalutare tante descrizioni della Randazzo del suo tempo, quelle così puntuali di opere d’arte, edifici, le cronologie, le citazioni d’archivio, gli elenchi di chiese, di porte, beni in massima parte ormai inesistenti, distrutti o smarriti, e riscontrabili solo attraverso la sua testimonianza.
L’opera del Plumari ha avuto per la sua città un valore incommensurabile, dal momento che la sua Storia monumentale, ordinatamente strutturata in libri e capitoli, dove non mancano numerose note e richiami temporali a margine, prende in considerazione ed attinge a una mole non indifferente di fonti e documenti, per la gran parte riportati e trascritti testualmente, fonti tanto più preziose in quanto tratte dagli scritti di storici, notai, testimoni, ormai perduti e non più reperibili. Indubbiamente l’opera contiene anche dei limiti, soprattutto se la si consideri alla luce dei mezzi e dei metodi di oggi, come una certa ampollosità stilistica e l’eccesso di campanilismo (ma quale storico municipale ne è del tutto immune?), ed anche in una certa carenza nel valutare criticamente i dati documentari e discernere le fonti, limite questo da imputare, più che allo storico Plumari, al tempo in cui egli visse. In quel periodo non si era ancora sufficientemente sviluppata la storiografia come scienza moderna, sottoposta al giudizio critico e a criteri scientifici, sicché alcune delle sue teorie non reggono di fronte ai metodi più recenti.
L’opera è, e resta comunque, ammirevole, non solo per le energie e l’impegno profusi, ma anche per il suo non trascurabile valore documentario (non dimentichiamo, tra l’altro, che vi si parla di una città che all’indomani dei bombardamenti del 1943 si è vista orbata di quasi tutti i propri archivi, civili, religiosi ed anche privati), e non è nemmeno trascurabile la sua importanza per la storia del territorio, e diremmo della Sicilia tutta. Plumari difatti “contestualizza” il proprio tracciato storico in seno alla storia di Sicilia, lo mette in rapporto con le varie etnie, le popolazioni, le dominazioni, le dinastie: la storia della città così si intreccia e si innesta in uno scenario ben più vasto e di più ampio respiro.
Quali ricordi di questo grande personaggio restano oggi a Randazzo? In verità ben pochi: un vicolo, nel quartiere di San Martino – vicino alla sua casa di abitazione, intitolato al suo nome; un libro che porta di suo pugno il nome; una qualche lettera d’archivio della Chiesa, con intestazione a stampa dei suoi titoli e col bollo personale con il suo stemma. Non un ritratto, non alcuna carta dei suoi numerosissimi appunti; non memorie dei contemporanei che ci facessero conoscere la personalità di quest’uomo tanto benemerito della sua terra.
Riconoscenti rendiamo il nostro tardivo omaggio a questo degno figlio della nostra città, il quale nella sua opera ci ha lasciato la testimonianza più viva e veritiera di ciò che significa amore della patria e della scienza congiunti in un unico nobile scopo.
Lungo l’arco della sua vita di Prete e di studioso egli compilò una serie di volumi riguardanti la storia della città, delle sue famiglie e delle persone illustri di essa come si può vedere dal lungo elenco che segue:
(Elenco a cura di Salvatore Rizzeri)
1) Storia di Randazzo – Man. in 2 volumi, presso la Biblioteca Comunale di Palermo – 1849.
2) Storia di Randazzo – Man. in un volume, presso la Biblioteca Zelantea di Acireale Depositata dallo stesso autore l’8/01/1934.
3) Storia di Randazzo – prima stesura, Man. appartenuto al Cononico Don Giuseppe Finocchiaro, ora in possesso della famiglia del Prof. Pietro Virgilio.
4) Codice Diplomatico – Man. in un volume, presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
5) Storia delle famiglie nobili di Randazzo – Man. in un volume presso la famiglia Scala.
6) Storia dei personaggi illustri di Randazzo – Manoscritto in un volume.
7) Allocuzione in difesa dei beni ecclesiastici appartenenti alla Collegiata di S. Maria – 1813.
8) Ragioni in difesa del diritto dell’Arciprete di Randazzo – Messina 1813.
9) Sulla elezione dell’Amministrazione dell’Opera De Quatris – Catania 1815.
10) Omelia nel giorno natalizio ed onomastico del Re Ferdinando I – Catania 1821.
11) Felicità dei popoli sotto la Religione Cristiana e sotto il Governo Borbonico – Messina 1822.
12) Infelicità dei popoli sotto le segrete società tendenti a distruggere la Religione e il trono – Messina 1822.
13) Orazione funebre in morte di Ferdinando I – Messina 1825.