L'Architettura Civile

L'Architettura Civile

L’ARHITETTURA CIVILE

di

Salvatore Rizzeri

 

Randazzo è una città medievale non solo nell’origine ma anche nella costituzione planimetrica, morfologica, artistica e agli occhi del visitatore, che viene per la prima volta, essa si presenta come un grande scenario allietato dalle bellezze naturali che la circondano, la vivificano, la completano con una grandiosità non facilmente riscontrabile altrove: l’aere cristallino, l’imponenza dell’Etna fumante che la sovrasta, il verde smeraldino dei campi coperti di viti e di oliveti e quel mistero fantasioso che ridesta, nei nostri spiriti, lontani ricordi di fiabe e di incanti che spirano da ogni angolo della cittadina.

A completamento di questo vasto scenario, sono nell’interno i numerosi resti architettonici che ci dicono lo splendore di una città siciliana del trecento, sede di Re e di Regine; essi sono i testimoni di quell’arte sentita, anzi connaturata in un popolo che ha saputo creare in Randazzo quella che i più definiscono la “Siena di Sicilia

Il quartiere di S. Martino è il più suggestivo e nonostante la lenta e progressiva distruzione di tanto patrimonio artistico, accelerata e centuplicata dalle distruzioni belliche del luglio-agosto 1943, esso  rimane ancora il quartiere più caratteristico, dove il tempo si è fermato: Via Furnari, la suggestiva via delle “cento femmine”, intersecata dai suoi molteplici vicoli.

Artisticamente i tre quartieri si differenziano in modo sostanziale. Mentre in quello di S. Martino prevale l’arte trecentesca e quattrocentesca, nell’altro di S. Nicola predomina il quattrocento e il cinquecento, con qualche punta di seicento; in quello di S. Maria quasi del tutto mancano monumenti che vadano oltre il seicento.

Questa caratteristica di relativa modernità del quartiere di S. Maria  si spiega storicamente; infatti esso venne colpito nel 1575 -1580 dalla grande peste che ne distrusse quasi l’intera popolazione e che impose ai sanitari del tempo la necessità di purificare tutto col fuoco; in tale occasione infatti si bruciò  tutto ciò che si riteneva infetto: case, archivi, suppellettili; in pratica l’intero quartiere venne del tutto distrutto e ciò spiega perché le poche manifestazioni artistiche che in esso si trovano sono tutte seicentesche e settecentesche.

Vistose e numerose sono in Randazzo le vestigia artistiche, ma come sono lontane dallo splendore di un tempo. Addentrarci nel labirinto della datazione di tutti questi monumenti è impresa non facile: Dice infatti il Leopold: “ Le attribuzioni ad epoche determinate e a correnti d’arte ben definite delle case civili, ove non intercorra una qualche specialità che ci faccia determinare, è assai difficile”.

Le costruzioni di Randazzo vanno dall’ultimo duecento in poi: la prima epoca normanna probabilmente non ci ha lasciato nulla, sebbene, per le caratteristiche dell’arco scevro da ogni ornamento, poderoso, tozzo, potremmo scorgere un’opera normanna, nel restaurato complesso di Via degli Archi o degli Uffici su cui però era sovrapposto il tardo-trecento con una meravigliosa bifora a colonna tortile, resa un tempo più suggestiva da una pianta di agave che si affacciava dal muro sgretolato.

L’Epoca successiva, la tardo-normanna è ben rappresentata da complessi artistici di alto valore. E’ il periodo di incipiente rigoglio della cittadina.  Si iniziò la costruzione delle tre grandi cattedrali di S. Martino, S. Nicola e S. Maria che nelle loro linee architettoniche mostrano chiare ed abbondanti tracce di gotico-lombardo.

L’epoca aragonese è il periodo aureo della città di Randazzo che diventa città regale, giacché la Corte aragonese, per parecchi mesi all’anno vi dimorava. E con la Corte la città si popolò delle più cospicue famiglie del Regno, che portarono ad essa benessere e potenza. Caratteristiche dell’arte di questo periodo sono: la ghiera sporgente sopra l’archivolto a sesto acuto e l’ornamentazione floreale dei robusti capitelli.

Una caratteristica delle costruzioni trecentesche in Randazzo è la permanenza dell’arco acuto che nei vari piani può essere sostituito dall’arco a tutto sesto. Esempio chiaro di questa simbiosi dell’arco acuto a ghiera sporgente e dell’arco rotondo in tutta pomice, è la casa di via Romeo in cui ai due archi a sesto acuto delle porte corrisponde al primo piano una fuga di finestre a tutto sesto che formano come una veranda; esse con le loro cornici rincorrentisi, con la loro ghiera piatta, con il vivo lineare della pomice a riflessi neri di ruggine, sono di un grande effetto.

Il quattrocento porta nelle linee architettoniche un non so che di grazia che alleggerisce le costruzioni  e che dà una nota di vivacità con l’uso del materiale policromo. Il capitello e la colonnina si alleggeriscono e snelliscono, ritorna l’arco rotondo  in pieno risalto nella sua contrastante policromia, giacché gli stipiti, il soglio, l’arco sono di pietra arenaria e la ghiera invece di pomice nera.

Costruzioni del primo quattrocento sono le bifore di casa Russo nel piano di S, Nicolò; la chiesetta di S. Maria della Volta e qualche altra finestra dispersa nelle infinite viuzze della città.

E’ anche opportuno rilevare come, tra il trecento e il quattrocento, la ghiera lavica dell’archivolto presenta non solo una differenza di sagomatura nel rilievo e nella cornice, ma anche nella parte terminale delle corde. Si notano infatti tre maniere con cui finiscono i due capi della ghiera: la più antica è a chiocciola e risale al 1300; un’altra è a mensolina a gocciola, che si incontra in parecchie porte del duecento e del trecento, come in quella della chiesetta di S. Maria dell’Agonia e in qualcuna dell’inizio del quattrocento; la terza è a squadra, come nella casa di Via Romeo. Le mensoline della ghiera della porta di Palazzo Clarentano fanno a sé perché sono a capitello floreale, di pretta derivazione gotica.

Un’altra singolarità degna di nota, come più volte afferma Don Virzì nei suoi resoconti, è la maniera caratteristica con cui venivano ricoperti i muri delle case. Non vi era intonaco ma per preservarle ed assicurarle contro le intemperie e l’umidità, si usava stendere una cortina di lapilli a mosaico che dava alle case un aspetto austero e quasi fosco. Tale uso lo si riscontra fin dal lontano duecento e si perpetua fin quasi al settecento in cui si usa già l’intonaco e una sub-cortina singolare a base di cocci di laterizio chiamati localmente con parola greca “ciaramiti”, esempio tipico è il campanile della chiesa di S. Nicola.

Il cinquecento rivoluziona l’arte architettonica di Randazzo; in questo secolo si ha una vera e propria frenesia policroma: i contrasti tra il rosso aurato dell’arenaria e il nero pomice della lava sono quasi la nota del secolo, perché non c’è casa cinquecentesca che non abbia queste caratteristiche: da quella del nobile signore (Palazzo Clarentano e Casa Romeo), a quella del povero contadino. Ciò dimostra come la tendenza a questo contrasto irrazionale sia un bisogno intimo dello spirito siciliano, forse lontano retaggio della civiltà araba.

E’ il rinascimento di Mattia Carnelivari, con le sue gomene e le sue esili colonnine, coi suoi archi ribassati o a tutto sesto, in cui si intrecciano forme e linee quattrocentesche. Esempio splendido di quest’arte è il Palazzo Clarentano costruito nel 1509. “ Costruzione assai armoniosa – la definì il Di Marzo – è una eleganza fatta di euritmia fra le vistose linee quattrocentesche e le smaglianti bellezze rinascimentali”.

L’anello di congiuntura tra l’arte del cinquecento e quella del secolo successivo è ben rappresentato dal raro complesso della Casa Magnatizia siciliana di Via dell’Orto, in cui ormai troviamo le grandi linee rinascimentali progredite che si innestano nella corrente nazionale. Venne additato per la prima volta agli studiosi dal Prof. Enzo Maganuco, magnifico docente di storia dell’arte ed appassionato studioso della nostra città.

Il seicento si estrinseca con le porte a tutto sesto a grossa chiave di volta, nella sagomatura della quale si sbizzarrisce la fantasia dell’artista ormai reso abilissimo dalla secolare pratica nel plasmare la durissima lava nelle forme più impensate. Il tipo più caratteristico di costruzione è la porta di grande bottega spagnoleggiante, ad arco ampio, quasi a fornice, con la pesante chiave a grosso mascherone maschile. La guerra, purtroppo, ci ha privato dei pochi esemplari che l’incomprensione umana ci aveva risparmiato. Splendido esempio ne erano quella di Casa Parisi e quella i Casa Ferro.

Un esempio di arte secentesca fiorita, caratterizzata dal suo “horror vacui”, sono i balconi di Casa Fisauli-Magro in Via Duca degli Abruzzi: sfoggio di fiori stilizzati, modanature vistose, mensole sagomate e mascheroni maschili che ci richiamano le barocchissime mensole di Palazzo Villadorata di Noto.

Ad un pretto classicismo si ispira invece la costruzione dell’attuale Municipio: col suo lungo porticato a colonne toscane monolitiche e soprattutto con le sue verande serliane che adornano la facciata e due lati del cortile quadrilatero, fa trasparire una sobria serietà, insolita allo stile secentesca in genere, ma canone assoluto in Sicilia che tenne lontane da sé ogni eccessività in cui trasmodò il rococò di oltr’Alpi.

Il grande terremoto del 1693 che, con Catania, distrusse Noto e danneggiò gravemente tutta la Sicilia Sud-orientale, segna una svolta decisiva anche per l’architettura randazzese. Molte furono le case danneggiate di Randazzo: tutti i palazzi a due piani, eccetto il Rumolo e qualche altro, furono abbassati di un piano; anche Casa Scala, l’ex Palazzo Reale, perdette il suo bel secondo piano allietato da una fuga di finestre a veranda che davano a questa costruzione un’imponenza suggestiva.

Il settecento per Randazzo, come per tutta la Sicilia, rappresenta un secolo di rinnovamento che occupò nei lavori di ricostruzione e di ripristino, per quasi tutto il suo corso, l’intera popolazione.

Le linee generali del settecento randazzese sono in linea con quelle nazionali. Qualche singolarità e qualche nota di arte popolare la riscontriamo nei pilastri del porticato di Casa Romeo in Via Garibaldi, adorni di rosoni, dentelli e motivi floreali, scolpiti nella viva lava dei conci che li formano. Altri esempio rilevanti sono il Monastero dei Basiliani, che mostrano nella severità delle sue sagomature già lo spirito innovatore del neo-classicismo, ciò appare chiaramente nella facciata compatta di lava a conci poderosi, ben squadrati, della chiesa del SS. Salvatore della Placa.

L’ottocento e il primo novecento hanno solo qualche affermazione di non grande momento: il portone lavico in linee neo-classiche, col bel mascherone espressivo, di Casa Romeo di Via Cairoli, ora montato nel cortile del Castello; Villa Queta, che arieggia lo stile delle ville toscane e il Castello del marchese Romeo, tipica costruzione del rinascimento ottocentesco.

* * * 

Abbiamo voluto dare questi brevissimi lineamenti di storia artistica che sono l’espressione delle generazioni multiformi di un popolo. Certo che questi muri, queste porte, questi archi ad intagli di pietra vulcanica, malleata dalla più squisita sensibilità artistica dei popoli mediterranei, ancora ci fanno sentire potente la voce di quei secoli che furono per noi di gloria e ci sono di vanto.

INDICE PROSPETTICO

DELLE OPERE DI ARCHITETTURA A RANDAZZO 

 

SECOLO XII (Epoca Normanna): 

Via degli Archi o degli Uffici.

Palazzo Scala. 

SECOLO XIII (Epoca Sveva):

Castello Svevo (ristrutturato nel 1640).

Porta di Casa Romeo in Via Fisauli.

Finestra di Via De Quatris. 

SECOLO XIV (Epoca Aragonese): 

Casa Russo in Piazza S. Nicolò.

Palazzo Rumolo in Corso Umberto.

Porta di Via Colonna.

Palazzo Lanza.

Casa La Macchio in Via Carcere (distrutta dai bombardamenti del 1943).

Casa Camarda in Via Garagozzo.

Casa Spitaleri in Via dei Lanza.

Casa Cavallaro in Corso Umberto.

Casa di Via S. Maria dell’Agonia.

Torre del Palazzo Romeo in Via Marconi.

Arco di Via Clarentano.

Torre di San Domenico (distrutta dai bombardamenti dell’estate 1943).

Casa Dilettoso in Via dei Caggegi.

Casa di Via Romeo.

SECOLO XV:

Casa di Via Santa Catarinella:

Finestra di Via Roma:

Finestra di Via Camarda.

Varie finestre in Via Collegio.

Finestra di Via C. Beccarla.

Porta di Casa Ciprioti nell’omonima via.

Finestra di Via Vaccaio.

Finestra di Via Furnari. 

SECOLO XVI (Epoca rinascimentale):

Finestra di Via C. Beccarla.

Portale di Via Furnari.

Portale di Via Perciabosco.

Casetta di Via Collegio.

Casetta di Via Lombardo.

Palazzo Clarentano in Via Duca degli Abruzzi (1509).

Casa Palermo-Pollicino in Via Clarentano.

Casetta di Via Dilettoso (distrutta).

Portale di Palazzo Fisauli in Via Roma.

Casa Vagliasindi di Via Fisauli (1568).

Palazzo Romeo in Via Marconi.

Portale di Via Garagozzo.

Portale di Via Roma.

Portali di Via Vaccaio.

SECOLO XVII (Epoca del barocco):

Casetta di Via Fontna.

Casa di Via Pardo.

Portale di Casa Ferro.

Casa Magnatizio di Via Orto.

Finestra serliana di Casa Fisauli.

Palazzo Comunale (1610).

Portale con stemma di Via Garagozzo (1625).

Portale e veranda di Casa Fisauli in Via Roma (1625).

Portale di P.zza S. Maria dell’Elemosina (1635).

Portale di Via Collegio (1633).

Palazzo Romeo di Via Garibaldi.

SECOLO XVIII (Epoca del barocco settecentesco): 

Collegio San Basilio (1768).

Castello Romeo.

Monastero di San Giorgio (rifacimento).

Casa Licari.

SECOLO XIX (Epoca del neo-classico-romantico): 

Villa Romeo di Contrada Statela.

Portone di Casa Romeo in Via Cairoli.

Portone di Palazzo Fisauli in Via Cairoli.

Palazzo Vagliasindi in Corso Umberto (XVIII-XIX).

SECOLO XX (Epoca moderna): 

Villa Queta  di Contrada Montelaguardia (1900).