Nato a Caltagirone in provincia di Catania subito dopo l'unità d'Italia, e ancora ragazzo si fa notare per il tratto del suo disegno che lo porta ad ottenere una borsa di studio. Andrà a studiare all’accademia di Roma, e a quelle di Napoli e Parigi. Diventerà un ottimo illustratore di libri e pittore. Per biechi motivi politici non gli concederanno mai di insegnare, ignorando meriti, diritti e curricula.
Fra la fine dell'Ottocento e gli inizi del novecento fu costretto all'esilio, probabilmente a causa delle simpatie anarchico-socialiste diffusesi anche a seguito dei Fasci siciliani e, secondo alcuni, a causa delle sue tendenze omosessuali. Nel suo girovagare passò da Roma e giunse a Parigi, dove frequentò l'ambiente artistico di Montmartre sino al 1910 e dove conobbe, fra gli altri, Picasso, Rousseau e Modigliani. Sulle sue avventure si mescolano spesso romanzo e realtà, specie per il periodo successivo, quando lasciò l'Europa per trasferirsi a Buenos Aires. Nel periodo argentino visse dapprima come aiutante di un fotografo, quindi tentò la falsificazione dei pesos per ribellarsi a una repubblica che sentiva "falsa". Scoperto, fu internato in un manicomio dove rimase sino al 1916.
Segnato, infatti, dallo stigma della diversità sin da bambino, Paolo Ciulla è insensibile nei confronti delle sollecitazioni che gli vengono dal padre, ciabattino che arrotonda i guadagni commerciando pellame. Piuttosto è rapito dalle dita della madre che sanno come trasformare i fili di seta colorati in fiore, foglia, policromia di arabeschi. Il ricamo, dunque, e il disegno, sono la sua vera passione. «Copiava tutto, e quando non trovava nulla di interessante attorno a lui, disegnava a memoria e con grande esattezza di dettagli volti, oggetti, paesaggi già visti». Finite le scuole primarie, Paolo si iscrive alla regia scuola tecnica, nonostante il disappunto del padre. Ma nulla egli può nei confronti di quel figlio ostinato e lunatico. Sensibilità straordinaria, disposizione eccezionale per la pittura, temperamento anarchico, sessualità tormentata e poco ortodossa: ci sono tutti gli ingredienti per fare di Paolo Ciulla una sorta di Caravaggio siciliano. E questa sua natura maledetta, il suo inconscio esorbitante, le visioni mostruose che lo visitano, ci vengono puntualmente restituite.
Fu artista dalle potenzialità straordinarie, ma come sovrastato da una stella nera: che è di sventura, di annientamento, di mascheramento continuo. All´abilità nel disegno si somma il socialismo utopico che anima i suoi discorsi, che lo spinge a disconoscere privilegi di ogni sorta. La passione per la politica gli consente una tracotanza che però la pratica del disegno e della pittura annulla. Seguiamo dunque Paolo Ciulla durante il suo soggiorno romano: la sua vita pasoliniana, tra osterie e incontri omosessuali, lo relega ai margini. E nel buio della sua stanza, le tele di una bellezza senza uguali. Sullo sfondo di una Sicilia che ribolle (tra Fasci e empiti socialisti), di un´Europa in subbuglio, si consuma l´esperienza terrena dell´artista calatino. Ora lo ritroviamo a Parigi, nel 1907: non la città romantica e libertaria del suo immaginario, ma caotico serbatoio di boulevard, grandi magazzini, ricettacolo di mendicanti e clochard. Ottiene il pass come copista al Louvre e se ne va in giro osservando, analizzando, senza mai rivolgere la parola a nessuno. Conosce alcuni pittori di Montmartre: Amedeo, «un italiano bello come una statua», di solito accompagnato da maligni commenti sulla sua pittura: «uova con occhi, i suoi ritratti, in cima a lunghi cilindri» (si tratta di Modigliani), e dello spagnolo Pablo, basso e ricciolino (Picasso). Pare che le cose a un certo punto vadano a gonfie vele per lui: un gallerista si innamora dei suoi disegni. La celebrità è alle porte: il successo a un passo. E però, la cattiva stella torna a gravare sul capo di Paolo Ciulla: la sua diversità sessuale è causa di trambusti. Gli amici lo tradiscono, la gente lo addita come un mostro. Alla stregua di una meteora, dunque, Ciulla attraversa il cielo di Parigi. Poi è la volta di Buenos Aires: lo spirito anarchico torna a infuocarlo; il risentimento nei confronti di una Repubblica ingiusta sempre più gli cova dentro. Si affaccia così l´idea di realizzare pesos falsi. Ed è qui che impara i rudimenti della falsificazione della cartamoneta e li perfeziona inventando la tecnica delle fotografie sovrapposte.
Scoperto, viene arrestato e internato in un manicomio di Buenos Aires; nel 1916 torna in Sicilia dove comincia a creare i cliché della carta da 50 e 100 lire. Reso ormai semicieco dall’uso degli acidi, i soci che non si fidano di lui, lo mollano. Ma lui non demorde.
Si trasferisce in una casupola sperduta in mezzo alle sciaredella periferia di Catania, dalle parti di viale Mario Rapisarda, dove creerà il suo capolavoro. E’ la banconota da 500 lire (che vale circa 750 euro attuali) così perfetta che solo lui, Ciulla, potrà riconoscerla: “Fondo viola pallido, cornice azzurra, stemma sabaudo in alto, in testa un’aquila, poi l’allegoria della Legge, l’allegoria della Giustizia bendata, la spada impugnata… E per finire, un puttino che regge una bilancia”.
Persino il perito delle Banca d’Italia riconobbe che i biglietti fabbricati da Paolo Ciulla erano autentici capolavori, tali e quali agli originali.
Nel giro di due anni ne metterà in circolazione per 12 milioni, l’equivalente di 18 milioni di euro. Quando le guardie faranno irruzione nella catapecchia in cui viveva e lavorava troveranno un uomo quasi cieco e solo. Accanto a lui le sue macchine, i suoi acidi, e le banconote stese in casa ad asciugare su un filo teso, come panni al sole.
“Parlerò solo davanti al Procuratore del Re”, dichiara alle guardie regie. E al Procuratore che vuole interrogarlo: “Davanti a un artista si tolga il cappello”.
Fu condannato a cinque anni e seimila lire di multa mentrevenivano assolti i banchieri e i deputati coinvolti nello scandalo dellaBanca Romana. Tantè. Questa è la vita.
Pochi sanno che di questo grande e dimenticato artista la città di Randazzo ha la fortuna di conservare dei meravigliosi lavori che nei primi anni del secolo scorso gli vennero ordinate da un nobile randazzese che, conosciutolo e avendo apprezzato le sue notevoli capacità artistiche, lo incaricò di affrescare le volte di alcune stanze (il grande salone e lo studio) della villa nobiliare che aveva fatto costruire in quegli anni alla periferia della città etnea. Si tratta dei ritratti di numerosi famigliari di questa antica e nobile famiglia randazzese. Ritratti di una bellezza incomparabile e dalle perfette dimensioni, ricavati dalle vecchie foto di famiglia, in bianco e nero, che il nobile committente gli fornì. In occasione della visita che nell'agosto del 2015 il Prof. Vittorio Sgarbi fece a Randazzo, invitato dall'attuale nobile proprietario, ebbe modo di ammirare questi stupendi lavori.
Si ridurrà cieco dopo che i vapori degli acidi usati per stampare i suoi capolavori gli avranno corroso le pupille e fatto perdere del tutto la vista. Morirà nel 1931 cieco e povero, in un ospizio, dove insegnava a ballare agli altri vecchietti i tanghi e le milonghe che aveva imparato in Argentina.
«La verità non è mai superficie. Ci vogliono occhi allenati per vederla. Perché a volte ha l´apparenza della menzogna».