La Presenza Ebraica in Sicilia

La Comunità Ebraica di Randazzo

Salvatore Rizzeri

LA COMUNITA’ EBRAICA DI RANDAZZO

 

La Diaspora

La presenza ebraica in Sicilia risale a tempi antichissimi, e questo anche grazie alla posizione geografica che da sempre ha occupato l’Isola nello scenario mondiale: il cuore del Mediterraneo, un crocevia portuale dove passavano tutti i traffici commerciali ed un punto di collegamento fra l’area mediterranea ed il continente europeo. Già nel 59 a.C. si ha notizia di un consistente numero di ebrei che fuggendo dalla loro terra, dopo l’occupazione romana conclusa dalle legioni di Pompeo, si trasferisce nella città di Siracusa. Un notevole incremento della loro presenza nell’isola può farsi risalire al 70 d.C., cioè dopo l’avvenuta distruzione per la seconda volta del Tempio di Gerusalemme da parte delle truppe dell’Imperatore romano Tito e l’espulsione degli ebrei dalla Terra Santa. Durante questa ondata migratoria, i ricercatori e gli storici presumono che arrivarono ebrei anche in Sicilia, notizia questa riportata da Mons. Giovanni di Giovanni [1].

Anche quelli che in un primo momento erano fuggiti in Egitto, dove era in uso il greco, fece sì che per i nuovi venuti ci fossero maggiori opportunità d’integrazione con il resto della popolazione.  Qualche tempo dopo però presero la decisione di spostarsi nuovamente, andando in Sicilia, in questo incoraggiati dall’uso di quella lingua ad essi nota - il greco -. La zona costiera della Sicilia Ionica, infatti, pur essendo sotto il potere romano, continuò a mantenere integre le tradizioni linguistiche del periodo greco [2].

Non solo nelle città costiere ma anche nelle zone interne limitrofe: Agrigento, Tissa, Tyracia/Triracia [3], (l’odierna Randazzo), si parlò il greco dorico sin dopo la conquista da parte degli Arabi (Filoteo degli Omodei attesta che fino al XV secolo nel quartiere centrale della città di Randazzo, quello di San Nicola, abitato prevalentemente da popolazioni di origine greca, si parlava ancora il greco) [4]. La lingua greca pertanto, saldamente radicata nel territorio siciliano, e la pacifica convivenza offerta loro da quelli - gli Arabi - che consideravano naturali protettori, furono i principali motivi che li spinsero ad emigrare verso la nostra Isola.   

Non è strano pertanto che importanti città costiere quali: Siracusa, Catania, Palermo, Messina e dell’interno: Castrogiovanni, Agira, Vizzini, Modica e soprattutto Randazzo, o come si chiamava all’epoca (Tissa-Triracia), che oltre a distare pochi chilometri dalla costa Ionica, era un centro di grandissima importanza strategica ed economica, ben conosciuto nell’antichità, contemplassero importanti comunità ebraiche al loro interno, poiché l’eccellente posizione geografica di questi siti consentiva gli affari e favoriva gli spostamenti all’interno dei diversi centri siciliani, senza privarle della possibilità di mantenere i contatti commerciali con gli altri ebrei del mondo tardo-romano, in Egitto e in Nord Africa. Randazzo fu poi la capitale della Valle dell’Alcantara (Akesine) e nodo viario di importanza vitale per chi dalla costa Ionica doveva spostarsi verso il centro dell’Isola e verso Palermo. 

 I Centri Ebraici della Sicilia

Non si ha certezza sulle esatte percentuali di presenza nel territorio siciliano, ma in ogni modo la Trinacria fin dai tempi biblici era stata una delle terre più importanti per la consistente presenza di questa comunità. Si parla di cifre che vanno dalle 30.000 alle 37.000 unità nell’anno del Decreto di espulsione. Dato certo è invece quello relativo alla presenza ebraica nella città di Randazzo. Nel 1492 la sua comunità era composta da ben 170 famiglie che rappresentavano 11,3% della popolazione. La comunità più numerosa dell’attuale provincia di Catania, e tra le prime dell’intera Sicilia. Se si considera che ogni famiglia era composta in media dalle 5 alle 6 persone, si ha una cifra totale intorno alle 1.200 unità. Era questa infatti una tra le più importanti e ricche comunità di ebrei della Sicilia [5]. Secondo il Trasselli all'atto dell'espulsione solamente in 300 andarono via - praticamente i maggiorenti della comunità -  la gran parte invece, "convertendosi", rimase nella città. Si spiega così l'attuale gran numero di famiglie randazzesi aventi cognomi di chiara origine Judaica. 

Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività agricole, commerciali e di allevamento, quando gli arabi introdussero i semi di cotone e la canna da zucchero, i gelsi e i bachi da seta, insieme al sommaco per conciare e tingere i tessuti, gli ebrei, che lavoravano facilmente il cotone, la seta e il lino, crearono così una solida industria: quella tessile. Il trattamento delle fibre, la loro colorazione ed infine l’arte del ricamo, erano attività che gli ebrei praticavano da lungo tempo e che attecchirono nel nostro territorio. Randazzo, come molti altri centri isolani, da allora divenne infatti importantissima nella produzione della seta, dei tessuti e delle pelli, (famoso in tutta Europa il “panno di Randazzo), segno questo di una forte presenza della comunità ebraica nella città. I rapporti commerciali con la città di Messina, già eccellenti, si fecero infatti sempre più stretti, visto il ruolo centrale che quella comunità ebraica ricopriva nell’arte della lavorazione dei tessuti pregiati. Per evitare incendi all’interno della città, i numerosi depositi di seta grezza si trovavano fuori le mura, in località “S. Elia”, all’interno dei cosiddetti “casotti ”, tutt’ora esistenti alla periferia ovest della città.

Numerosi in questo specifico settore le presenze di elementi qualificati come "mercanti di panni", sono tali Nisso Quaresima, Xibiten Misiria, Abram Calabrisi, Josef Rabibi.

Porta Aragonese o Porta degli Ebrei

Gestivano anche aziende artigianali per la lavorazione dei metalli, specialmente il ferro, è il caso di Muxa Rabbi e di Yasse Pernes. Si occupavano inoltre della concia delle pelli. Le concerie e i laboratori per la lavorazione delle pelli si trovavano accentrate nel quartiere di S. Maria dell’Itria, fuori la cinta muraria. Questo quartiere veniva più comunemente chiamato quartiere dei conciariotti (a cunziria), proprio per la presenza di un gran numero di queste attività, li allocate per l’abbondante disponibilità di acqua. (Il quartiere sorgeva sulla riva destra del fiume Alcantara ed era attraversato dal suo affluente, il torrente Annunziata). 

Gli ebrei di Randazzo si affermarono anche nel settore lattiero-caseario, nella produzione e nella lavorazione del latte e del formaggio che assieme al commercio del vino e dell’olio costituivano una buona fetta dell’economia delle varie comunità. Il territorio e il clima di Randazzo è stato da sempre particolarmente vocato alla coltivazione della vite e dell’ulivo, colture introdotte in Sicilia dalla civiltà greca.

Sparsi un po' in tutti i tre grandi quartieri di Randazzo (Lombardo, Greco e Latino) e ben integrati con la popolazione locale con la quale non risultano esserci mai stati scontri o intolleranze, si stabilirono in un tempo non ben definito prevalentemente all’interno del quartiere Latino di Santa Maria, sul Colle di San Giorgio nei pressi di Porta Messina, successivamente indicata come “Porta degli Ebrei ”, (denominazione tutt’ora mantenuta).

La Basilica di S. Maria  il Quartiere Latino e il Quartiere Ebraico

Non conosciamo però con esattezza l’effettivo periodo storico dei primi insediamenti ebraici nella città etnea dal momento che i documenti d’archivio che avrebbero potuto darci delle risposte certe, conservate nel grande archivio storico della parrocchiale Chiesa di San Nicola, vennero interamente bruciati nel 1539 dalla soldataglia ribelle a Carlo V proveniente dalla Goletta, che per circa tre mesi (20 Gennaio – Aprile 1539) mise a ferro e fuoco la città [6]. Ma i toponimi, i quartieri, la presenza alla periferia ovest della città di importanti attività artigianali e industriali, inerenti la lavorazione e il commercio di pelli e di prodotti conciari, la lavorazione della seta grezza di cui Randazzo era tra i maggiori produttori dell’Isola, con le relative tintorie gestite già nel XII secolo da membri della comunità ebraica (Mosè Sacerdoto, Iacob Guadagno, Farachio Levi, Masio Lu Iudichi, Mosè Josef, Busacca Yhasde, ecc.[7]), tutto ciò testimonia come copiosa è sviluppata doveva essere già in quell’epoca la comunità ebraica nella nostra Città.

Siamo in un periodo storico durante il quale la Città di Randazzo, soprattutto dopo la conquista normanna, diviene uno tra i più grossi centri demaniali del Valdemone, non solo dal punto di vista demografico, ma soprattutto economico e commerciale. Pertanto anche se le prime notizie documentate relative alla presenza ebraica nella città risalgono al 1347, “…. il 22 Febbraio 1347 Salomon Czichiri è proprio un Iudeo de Randacio, che verrà autorizzato ad esercitare la professione di medico per tutto il Regno di Sicilia [8],” nonché il documento dell’Infante Giovanni del 16 Aprile dello stesso anno indirizzato all’Arcivescovo di Messina Raimondo de Pizzolis, con il quali gli si intimava di non intromettersi negli affari della comunità ebraica randazzese, (imposizione di collette) dal momento che i suoi membri erano soggetti alla sola giurisdizione del Re e dei suoi funzionari competenti [9], è evidente il fatto che la presenza ebraica nella nostra città sia da retrodatare a diversi secoli precedenti.

Nel 1400, la comunità ebraica di Randazzo era talmente importante in Sicilia da godere di gestione autonoma ed essere retta da un Giudice particolare e proprie istituzioni, come si può vedere da un Diploma del 3 giugno 1477. Il documento, emanato dal vicerè Lop Ximénez Durrea, ordinava a Simone Rubbeo, Vicesecreto di Randazzo, ad esigere presso la Giudecca di Castiglione la somma di 600 onze da versare alla Real Corte in cambio dell’abolizione dell’Ufficio di Giudice Universale dei Giudei di Sicilia.

Nel campo della vita sociale ed economica, come abbiamo avuto modo di accennare, erano presenti in tutti i settori, alla stessa stregua e, in qualche campo, più degli stessi cristiani. Nel settore creditizio si annovera un banchiere nella persona di Murdoch de Panormo, "Magistro scolari" è Busaccono di Xalo; per non parlare poi del gran numero di medici e chirurghi ebrei presenti a Randazzo, molti dei quali autorizzati ad esercitare la professione su tutto il territorio siciliano: oltre al già citato Salomon Czichiri, ricordiamo Manueli Servidei, Rasé Rabbi, Benedetto Servidei, Mayr de Siracusa, Siminto Rabbi Mathamias, Yasse Rabbi, ed altri ancoraPer un certo periodo dimora a Randazzo anche un medico d'eccezione di origine catalane: Josue Benaccrimi. Tale massiccia presenza di specialisti nell'arte Ippocratica, non riscontrabile in nessun'altro centro della Sicilia, ci fa ritenere, senza ombra di dubbio, che a Randazzo nell'ambito della comunità ebraica fosse stata istituita su disposizione regia una "Scuola de Arte Medicina".

In un successivo capitolo tratteremo di questo particolare ed importantissimo aspetto della Comunità Ebraica di Randazzo, così come della loro cacciata in conseguenza del Decreto di espulsione del 31 marzo 1492 a firma del Re Ferdinando il cattolico e della Regina Isabella di Castiglia.

 

[1]  Giovanni di Giovanni: L’ebraismo della Sicilia. – Editoria multimedia.

[2]  Lisa Bachis: Gli ebrei di Taormina dalle origini al XV secolo. Op. cit.

[3]  E. La Monaca: Antichità di Sicilia.

[4]  S. Rizzeri: Randazzo e la sua storia. Origine ed evoluzione nei secoli. Ediz. La Rocca , Giarre (CT) Dicembre 2020.

[5]  Salvatore Rizzeri: Randazzo e la sua storia. Origine ed evoluzione nei secoli. – Dicembre 2020

[6]  P. Luigi Magro: Cenni storici della città di Randazzo - Op. inedita, pag. 126

[7]  S. Simonsohn: The Jews in Sicily, 18 voll. Leiden-New York-Boston-Koln. 1997 – 2010. Diverse pagine.

[8]   B.G. Lagumina: Codice Diplomatico dei Giudei di Sicilia, Palermo, 1884-1888. I, pag. 71.

       Prof. Santino Spartà: Gli Ebrei a Randazzo. La Voce dell’Jonio 2019. Pagg. 4 – 5.

[9]  S. Simonsohn: The Jews in Sicily, Doc. 584. Rizzo Pavone, Gli Archivi di stato siciliani, p. 81 e segg.

 
 

La Strage Dimenticata degli Ebrei Siciliani

LA STRAGE DIMENTICATA DEGLI EBREI SICILIANI

Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia

"Viva Maria periscan gli Ebrei ". Sotto la spinta religiosa e incredibilmente forsennata, il quindici agosto, nell' anno 1474, giorno dedicato alla gloriosa Assunzione della Beatissima Vergine Maria, un più grave rumore di popolo sollevato s' intese a Modica, consegnando alla storia il più feroce e grave eccidio giudaico in Sicilia. La Contea di Modica, il cui ingente territorio si estendeva sino al Dirillo, comprendendo anche le baronie di Alcamo, Caccamo e Calatafimi, secondo il censimento del 1492, ospitava una cospicua comunità ebraica, la più numerosa di tutta la Sicilia. Gli ebrei nel territorio siculo non furono mai costretti ad abitare in quartieri chiusi, tristemente definiti quasi un secolo dopo col termine di "ghetti", nettamente divisi dalle comunità cristiane con mura di separazione o porte che venivano debitamente chiuse al tramonto. L'isolamento in cui vivevano le comunità ebraiche era, quindi, autodeterminato e così avvenne pure nella Città della Contea. Il quartiere che ospitava la giudecca era definito "Cartellone", e secondo importanti storici, traeva motivo da un cartello posto all'inizio del territorio stante ad indicare la presenza della comunità ebraica. Se così fosse, Modica avrebbe anticipato, seppur indirettamente, l'odioso provvedimento di separazione delle comunità religiose di circa un secolo. Nulla era successo fino a quel giorno Mariano, anche se la rabbia degli abitanti della Contea covava sempre più, spinta anche dai sermoni di predicatori come Fra Giovanni da Pistoia, autorizzato dal viceré Lop Ximenes Durrea, nel marzo 1467, ad obbligare gli ebrei ad assistere alle sue prediche, partendo dalla constatazione che "senza la religione cristiana, la società umana perdeva ogni suo fondamento". Così, nella cultura popolare, si faceva strada la convinzione che tutto ciò di più brutto ed infido esistesse al mondo fosse necessariamente ebreo (infatti ebreo, ad esempio, era sinonimo di eretico, come si può vedere nel "Contrasto" di Ciullo d'Alcamo, dove a certe proposte un po' spinte fatte dall' innamorato, la fanciulla ribatte: ". . . so ca non sei tu eretico, o figlio di giudeo..."). Il fatidico ferragosto del 1474, secondo le cronache, fu proprio Fra Giovanni da Pistoia a tenere cattedra nella Chiesa di Santa Maria di Betlemme di Modica ed a predicare con "fanatico zelo". Alla fine della funzione religiosa gli uomini, ubriachi d'incenso e come in preda ad una esaltazione ipnotica, assordati dai rintocchi delle campane a festa, si riversarono come un'orda prima sul piazzale della Chiesa, ai piedi della statua della Madonna e poi nel quartiere ebraico. Fu lì che l'isterismo raggiunse il culmine della crociata, uomini armati di qualsiasi cosa "spati, lanzi e balestri ", saccheggiarono e distrussero molte abitazioni, diedero fuoco alla Sinagoga e, soprattutto, uccisero un numero imprecisato (ancora oggi le cronache e gli storici si dividono fra i 360 ed i 600) di ebrei, fra uomini, donne ed anche bambini. La spietata caccia all'uomo durò più giorni, tanto da convincere il viceré Lop Ximenes Durrea, a far ritorno a Modica dalla lontana Palermo. Il processo per direttissima che ne seguì, mise in evidenza gli aspetti più macroscopici dell'infame comportamento popolare ma fu eccessivamente sbrigativo e certamente non risolutivo (tant'è vero che da lì a qualche giorno si ripeté, se pur in proporzioni molto minori, un nuovo eccidio di ebrei a Noto). L’eccidio di Modica precedette di pochi anni l'Editto del 31 marzo 1492, con cui (sull' onda dell'entusiasmo della capitolazione dell'ultimo ridotto musulmano della penisola iberica, la città di Granada) Ferdinando il Cattolico ordinò che tutti gli ebrei " todos los jodios y judias grandes y pequenyos " dovessero lasciare i suoi regni. Da allora ad oggi, i rigurgiti dell'antisemitismo, purtroppo, continuano; la storia, che dovrebbe essere maestra di vita, si ripete. È di qualche giorno fa la comparsa di liste di prescrizione di personalità ebraiche su due blog. Il progresso della tecnica viene utilizzato per riproporre, dopo gli orrori delle secolari persecuzioni patite dagli ebrei, atti di discriminazione e di istigazione all' odio razziale.

Paolo Borrometi, 03 Gennaio 2012

https://ricerca.repubblica.it › repubblica › archivio › repubblica › 2012/01/03

 

 

 

La Presenza Ebraica in Sicilia

LA PRESENZA EBRAICA IN SICILIA

Secondo alcuni ricercatori, i primi Ebrei giunsero in Sicilia insieme ai Fenici che non si sarebbero limitati a colonizzare alcune zone occidentali dell’isola ma, oltre Mozia e Palermo, avrebbero fondato anche Siracusa. Secondo l’archeologia, in particolare, il primo ebreo siciliano è documentato dalle catacombe di Roma: Amachios da Catania, che visse intorno al III sec. a.C. e portò un nome greco corrispondente alla traduzione di Shlomo.

La presenza di ebrei in Sicilia è stata documentata, da parte degli storiografi e degli eruditi, già a partire dal periodo repubblicano (Cicerone scrive di ebrei presenti in Sicilia e Filone Alessandrino sostiene che molti ebrei si trasferirono nelle isole del Mediterraneo, a seguito dell’espandersi dell’impero romano e con l’aumento del numero delle sue province).

In particolare, quando Gerusalemme cadde in mano a Roma, alla fine degli anni cinquanta prima di Cristo, vi fu un forte flusso migratorio di ebrei, all’interno dell’area del bacino del Mediterraneo. Inoltre, il Di Giovanni riporta la notizia che un nuovo incremento del numero di ebrei nelle province romane, avvenne dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d. C. I primi secoli del Cristianesimo, videro quindi un ulteriore accrescimento della presenza di ebrei in Sicilia. Molti di questi, giunsero nelle città costiere sulle navi da carico romane e in condizioni di prigionia, e furono impiegati nelle attività ludiche e nei giochi circensi dei teatri siciliani di Palermo, Siracusa, Catania, Taormina e delle altre città isolane, poste sotto il controllo della Roma imperiale.

Accanto a questi, però, molti altri giunsero in Sicilia in maniera autonoma, pagando il viaggio generosamente. In effetti, diversi gruppi di ebrei dopo la distruzione del Tempio, fuggirono in Egitto e qui si stanziarono; sino a che in un secondo momento, presa la decisione di spostarsi nuovamente, andarono in Sicilia, incoraggiati dall’uso di una lingua ad essi nota.

La zona costiera della Sicilia ionica, pur essendo sotto il potere romano, continuò a mantenere integre le tradizioni linguistiche del periodo greco. A Taormina e nelle zone vicine ( Tissa – Tyracia, l’attuale Randazzo ) si parlò il greco dorico, sin dopo la conquista da parte degli Arabi. E la lingua greca era già saldamente radicata nel territorio quando, intorno al IV secolo, venne dato l’avvio alla cristianizzazione. Perciò, la possibilità per gli ebrei di poter continuare a parlare la loro lingua, dato che anche in Egitto era in uso il greco, fece sì che per i nuovi venuti ci fossero maggiori opportunità d’integrazione con il resto della popolazione.

Ma per quel che più ci interessa è sottolineare come le prime grandi comunità ebraiche dell’isola, coincidono con le conquiste arabe di Mazara, Agrigento, Mineo, Tissa (Randazzo), Sciacca e Siracusa, comprovando, così, che il grosso insediamento ebraico siciliano, si cominciò a delineare proprio con tale conquista dei nostri territori, laddove i conquistatori disponevano di una grossa componente ebraica cui affidare poi, l’amministrazione dei territori conquistati e la gestione dei tributi. ( Nell’anno 869 l’emiro Hafagah, condottiero arabo, transitando col suo esercito da Taormina a Randazzo, dopo la mancata presa della città Jonica, attraversò la Valle dell’Alcantara. Al suo seguito aveva anche mercenari Ebrei; e proprio con questo seguito che i Musulmani diedero inizio alla lenta ma sistematica occupazione della Sicilia ).

Tale componente, mantenne nel tempo i contatti sia economici che culturali con i paesi di provenienza, sviluppando, così in favore delle loro comunità e della Sicilia tutta una notevole economia. Agli inizi di tale conquista, in Sicilia si parlava il greco, mentre si faceva strada il volgare siciliano che in seguito divenne la lingua ufficiale del Regno di Sicilia e che gli ebrei presto impararono a parlare meglio degli altri.

Con la cacciata delle comunità ebraiche dalla Sicilia Il 18 giugno 1492, Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia presero una decisione grave che in seguito ebbe sviluppi tragici nell’economia del regno spagnolo e in Sicilia allora già vicereame: un gesto di fondamentalismo cattolico fu l’editto che impose senza condizioni che gli ebrei dovessero abbandonare per sempre la Sicilia entro tre mesi, pena la morte. Gli ebrei erano vissuti in Sicilia dai tempi biblici e la Trinacria era stata una delle terre più importanti in cui si erano fermati una volta partiti dalla Palestina all’inizio della diaspora nel 70 d.C. La Sicilia era abitata, fino all’anno 1492, da un numero d’ebrei, in percentuale alla popolazione residente, superiore a quelli presenti in qualsiasi altra regione o stato europeo o del bacino del mediterraneo (percentuali di presenza purtroppo incerte nel territorio siciliano, ma oscillanti secondo cifre controverse di stima da un minimo del 5% per città ad un massimo del 50%, che si raggiunse a Marsala. Dato certo è invece quello di Randazzo, città in cui all’atto dell’espulsione gli ebrei rappresentavano l’11,3% della popolazione con 170 famiglie, pertanto circa 1.200 - 1.300 elementi).

Tutti riconoscono che la perdita dei giudei di Sicilia fu un fatto grave per l’economia dell’isola. (Denis Mack Smith, Lodovico Bianchini), perché gestivano attività importanti in alcuni casi faticose, ma sempre a buon reddito. Avevano in loro mano buona parte dell’economia commerciale e soprattutto quella bancaria e finanziaria del regno e del viceregno di Sicilia, anche se questo privilegio non era esteso a tutta la comunità giudaica di Sicilia. Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività commerciali, avevano aziende nell’attività della concia delle pelli (cunziria di Vizzini e di Randazzo), lavorazione del ferro, lavorazione della seta (Randazzo), coltivazione della canna da zucchero (Savoca), produzione di maioliche (Naso). Numerosi gli ebrei di Sicilia nella professione medica con una presenza sorprendente anche di donne (non solo specializzate in ginecologia).

52 erano le giudecche esistenti con 60 sinagoghe ben localizzate: si possono ancora vedere i luoghi che testimoniano la loro presenza per scoprire ciò che è rimasto di questa civiltà attraverso la presenza di numerose testimonianze ancora visibili per considerazioni intuitive o tracce d’attività e di luoghi depositari di memoria. Nel libro di Nicolò Bucaria “Sicilia judaica”, sono indicati reperti e oggetti di tradizione ebraica in parte ancora rintracciabili e che si riferiscono ai seguenti comuni siciliani: Acireale, Agira, Agrigento, Akrai, Alcamo, Bivona, Caccamo, Calascibetta, Caltabellotta, Caltanissetta, Cammarata, Castelbuono, Castiglione, Castronovo, Castroreale, Catania, Caucana (Rg), Cittadella Maccari (Sr), Comiso, Enna, Erice, Gela, Lentini, Lipari, Marsala, Mazara del vallo, Messina, Monreale, Mozia, Noto, Palermo, Polizzi Generosa, Ragusa, Randazzo, Rosolini, Salemi, San Fratello, San Marco d’Alunzio, Santa Croce Camerina, Sciacca, Scicli, Siculiana, Siracusa, Sofiana (Cl), Taormina; Termini Imerese, Trapani.

Forme più o meno virulente di antisemitismo sono ancora presenti in tutto il mondo, eppure bisogna prendere atto che la cristianità è pervasa, dopo le ultime revisioni ideologiche di Papa Giovanni Paolo, di un’ondata di rinnovato interesse per la cultura ebraica. Questo nuovo e diffuso interesse per gli ebrei, fa leva sulla circostanza egoistica che li vede come lievito per lo sviluppo economico di un territorio. Tale interesse, misto al desiderio di conoscenza di un popolo diverso e molto attivo, fanno sentire oggi, in moltissimi siciliani il desiderio di riallacciare gli antichi legami con la cultura ebraica che tanta parte ha avuto nella formazione e nella storia siciliana.

 

 
 

 

1492 - L'Editto di Espulsione

Salvatore Rizzeri

LA SICILIA EBRAICA

 

1492 – L’Editto di Espulsione

Spagna 31 marzo 1492

“ Sapete bene, o dovreste saperlo, che, poiché fummo informati che in questi nostri domini c’erano alcuni cattivi cristiani che si dedicavano al giudaismo e si allontanavano dalla nostra santa fede cattolica, a causa soprattutto delle relazioni fra ebrei e cristiani, nelle cortes riunitesi a Toledo nel 1480 ordinammo che in tutte le città e i villaggi dei nostri regni e signorie gli ebrei dovevano vivere separatamente dagli altri, nella speranza che la loro segregazione avrebbe risolto il problema. Avevamo anche provveduto e ordinato che nei nostri suddetti regni e signorie fosse istituita un’Inquisizione: come sapete, il tribunale nacque più di dodici anni fa e opera ancora. L’Inquisizione ha scoperto molti colpevoli, come è noto, e dagli stessi inquisitori, oltre che da numerosi fedeli, religiosi e secolari, siamo informati che sussiste un grave pericolo per i cristiani a causa dell’attività, della conversazione e della comunicazione che [i cristiani] mantengono con gli ebrei. [Gli ebrei infatti] dimostrano di essere sempre all’opera per sovvertire e sottrarre i cristiani alla nostra santa fede cattolica, per attirarli con ogni mezzo e pervertirli al loro credo, istruendoli nelle cerimonie e nell’osservanza della loro legge […].

Per questo motivo, e per mettere fine a una così grande vergogna e ingiuria alla fede e alla religione cristiana, poiché ogni giorno diventa sempre più evidente che i suddetti ebrei perseverano nel loro pessimo e malvagio progetto dovunque vivano e conversino [con i cristiani], [noi dobbiamo] cacciare i suddetti ebrei dai nostri regni così che non ci sia più occasione di offesa alla nostra fede. Pertanto ordiniamo che quanto da noi stabilito sia fatto conoscere, e cioè che tutti gli ebrei[1]  e le ebree che vivono e risiedono nei nostri suddetti regni e signorie, a prescindere dallo loro età […], entro la fine di luglio lascino i nostri regni e signorie insieme con i loro figli […], e non osino mai più farvi ritorno.” 

L’editto del 1492

Così, scritto e firmato dal re Ferdinando e dalla regina Isabella, l’editto di espulsione degli ebrei del 31 marzo 1492.

Sostanzialmente diverso da quello spagnolo è l’editto di espulsione siciliano, in questo si sottolinea particolarmente il ruolo dell’inquisizione e del primo inquisitore, Tomas de Torquemada. Le cause che concorsero all’emanazione dell’Editto siciliano, nel 1492, furono tante e non tutte incisero in eguale misura, ma certamente il clima arroventato che si era creato in Sicilia, negli anni tra il 1487 e 1491, fomentato dalle folli predicazioni dei frati francescani e domenicani accelerò i tempi.

“ Le ragioni che portarono all’emanazione dei due provvedimenti vanno rintracciate in ambito politico, religioso ed economico. Infatti, il crollo dei due grandi modelli universali di matrice medievale, papato ed impero, aveva avuto come esito la nascita delle moderne monarchie nazionali, che nei secoli XI e XII iniziarono ad assumere un potere autonomo svincolandosi dagli obblighi nei confronti dell’imperatore; da qui la necessità di dare il via al processo di formazione di un popolo con una propria coscienza nazionale, unito sotto il profilo linguistico, delle tradizioni culturali e soprattutto sotto il profilo religioso. Nelle varie monarchie europee nella persona del re si esprimeva l’unità della nazione, da qui l’identificazione tra religione del sovrano e religione del popolo, insomma si trattava di rendere concreto il principio dell’ ubi unus dominus ibi una religio. Il processo di formazione degli stati nazionali era stato avviato, nel 1066, in Inghilterra ove si era stabilita una dinastia normanna, ad opera di Guglielmo I il Conquistatore, ed ove, in seguito, sotto Enrico II, si era già avuto uno scontro con la Chiesa. Anche la Francia, con Filippo II Augusto prima e Luigi IX il santo dopo, cominciava a liberarsi dalle strutture politiche medievali per avviarsi alla realizzazione di uno stato nazionale francese. La Spagna era in ritardo rispetto all’Inghilterra e alla Francia infatti solo, nel 1469, col matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona si comincerà a porre le basi per la formazione di una moderna monarchia nazionale.

Ovviamente la nascita di questi nuovi soggetti politici comportò, ovunque, pesanti scontri tesi a limitare lo strapotere dei feudatari e le continue ingerenze della Chiesa all’interno dei nuovi stati. Ma in Spagna la situazione era più complessa che altrove, la presenza di ebrei e di musulmani era consistente e di conseguenza compito arduo la formazione di un popolo unito sotto il profilo culturale e religioso. In più è necessario sottolineare l’atteggiamento fervidamente religioso dei sovrani spagnoli, che ebbe un particolare significato e peso politico, considerandosi gli stessi non tanto difensori del papato quanto della cristianità intera.

Uniti i regni di Castiglia e di Aragona, attraverso le nozze tra Isabella e Ferdinando un secondo passo, per la formazione di una monarchia spagnola, venne compiuto, nel 1492, con la sconfitta del regno di Granada, roccaforte dei musulmani. il titolo di “Cattolicissimi” re di Spagna, conferito loro dal papa ne legittimava, sicuramente, le imprese. Nel marzo dello stesso anno venivano emanati i due “editti” per l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e dalla Sicilia. Il principio dell’“unus dominus ibi una religio” era valso anche in Sicilia che, dopo le dolorose vicende che la videro contesa tra Aragonesi e Angioini con la cacciata di questi ultimi, si staccava da Napoli e diventava un regno indipendente che però finiva, inevitabilmente, col legarsi, per ben quattro secoli, alle sorti della Penisola iberica[2]”.

 

La suddivisione della Penisola Iberica prima della caduta di Granada 

“. . . Realizzato l’obiettivo di fare della Spagna un moderno stato nazionale, re Ferdinando, intendeva ora farne uno stato assoluto. A questo scopo era necessario modificare il rapporto tra la Sicilia e la Spagna e più precisamente liquidare i margini di autonomia di cui godeva l’Isola. Il programma, però, coinvolgeva anche la Chiesa di Roma, in considerazione degli interessi che questa aveva nell’Isola. In Sicilia, nonostante negli anni precedenti l’Editto di espulsione del 1492, l’odio antigiudaico avesse avuto come esito le stragi di Modica e di Noto e nonostante focolai di tensione fossero esplosi in tutta l’Isola, il Tribunale dell’Inquisizione e il successivo Editto di espulsione suscitarono l’ostilità del popolo e dei ceti dirigenti isolani, i quali capirono subito che il vero obiettivo di Ferdinando consisteva nel liquidare la semiautonomia di cui godeva la Sicilia. Le lotte tra gli inquisitori e i giudici siciliani, una volta fondata l’Inquisizione, vertevano sulla giurisdizione e su alcuni reati riservati dal re di Spagna al Tribunale e rivendicati dalle magistrature siciliane al proprio foro. Sul versante della Corte pontificia, il papa continuava a ritenere la Sicilia feudo della Chiesa di Roma, inoltre nell’Isola vigeva ancora il regime della Legazia apostolica e re Ferdinando, per diritto di nascita “legato pontifico”, esercitava in Sicilia poteri di patronato sulla chiesa locale, si occupava degli aspetti finanziari e della nomina dei vescovi, che il papa era tenuto a ratificare, insomma Ferdinando era al tempo stesso papa e re, tant’è che era chiamato “Sacra Maestà”. L’autonomia dell’Isola, che re Ferdinando intendeva liquidare, si identificava, in parte, anche con i diritti rivendicati dalla Chiesa di Roma. In Sicilia regnava il caos, esistevano due inquisizioni quella vescovile, unica legittima, e il tribunale spagnolo voluto da re Ferdinando e dall’Inquisitore Tomas de Torquemada. Nonostante il clero siciliano, subito dopo l’emanazione dell’Editto, sostenesse d’accordo con la curia di Roma, la giurisdizione vescovile, la bilancia pesava dalla parte di Ferdinando, infatti gli ebrei erano servi della camera regia, non dipendevano né dalla Chiesa, né da dai nobili feudatari, né dalle magistrature cittadine erano proprietà e peculio del re che disponeva anche dei loro corpi, come si legge nel testo dell’editto di espulsione siciliano:

E atteso che tutti i corpi degli ebrei che vivono e risiedono nei nostri regni, sono nostra proprietà e di essi per nostra real potenza possiamo decidere e disporre a nostra volontà [3].

La Chiesa di Roma e il clero, in virtù della servitù della camera regia potevano pronunziarsi solo se si verificano contrasti tra la legge mosaica e il rispetto dei dogmi cristiani, avendo, la giurisdizione vescovile, solo valore di verifica e di controllo. Fu questa complessa ed intricata maglia di relazioni, che intercorrevano tra la Spagna la Sicilia e la Chiesa di Roma, a indurre re Ferdinando e l’Inquisitore generale Tomas de Torquemada a stendere, per la Sicilia, un editto di espulsione diverso da quello spagnolo, studiato nei minimi particolari, in modo da poter reggere a qualsiasi genere di protesta, che il Cattolico si aspettava sia da parte del pontefice che da quella delle autorità siciliane.

Emanato il decreto la Chiesa di Roma non se ne rimase zitta, appellandosi al diritto canonico secondo cui i re cristiani non potevano espellere gli ebrei, ma l’Editto di espulsione era blindato, l’istituto della servitù della Camera regia, ivi incluso a bella posta, lasciava mano libera a re Ferdinando. Nell’Editto, gli ebrei venivano accusati sia di sollecitare i cristiani ad abbandonare la loro fede per abbracciare l’ebraismo:

dai Padri inquisitori della eresia e apostasia, siamo informati che sono stati trovati molti e diversi cristiani i quali sono passati o ritornati ai riti giudaici […] e che di detta eresia ed apostasia sono stati causa i giudei e le giudee dei nostri regni..”, sia di praticare il prestito ad usura…. Troviamo che i detti giudei per mezzo di gravissime ed insopportabili usure divorano e inghiottono i beni e le sostanze dei cristiani, esercitando con nequizia e senza pietà la pravità usuraia contro i detti cristiani[4] .

Accusa pesante, anche quest’ultima, specie se si considera da quale pulpito veniva la predica! Non se ne rimasero zitti neanche i Siciliani, che da politici consumati reagirono con determinazione e prudenza. 

Tre mesi dopo, in un atto senza precedenti, in una lunga lettera scritta dagli alti ufficiali del Regno di Sicilia al re Ferdinando contestarono una ad una le accuse a carico degli Ebrei scrivendo che in Sicilia non avevano mai tentato di convertire i cristiani e che il credito ad interesse veniva da loro praticato conformemente a quanto stabilito dalla Regia Curia e dalle Bolle pontificie.

“… Se fossimo a conoscenza  - scrissero - che gli ebrei costituissero causa di fomentare l’eresia o che per le loro conversazioni con i conversi provocassero occasioni di infedeltà, supplicheremmo Vostra Real Maestà non già che fossero espulsi, bensì che venissero bruciati.

Affermazioni queste che insieme all’accusa di usura vennero condivise dalle più alte magistrature siciliane e dallo stesso inquisitore La Pena, rappresentante in Sicilia dell’Inquisitore generale spagnolo Tomas de Torquemada. Pur attaccando il decreto nella sua ragion d’essere, complessivamente, i Siciliani agirono con oculatezza, avevano capito che con quell’Editto re Ferdinando, assieme agli altri suoi scopi, cercava l’occasione per entrare in conflitto con i siciliani e avere l’opportunità di revocare tutti i privilegi di cui godeva l’Isola. Era insopportabile l’idea che un monarca, che esercitava poteri assoluti nei suoi vasti domini, vedesse limitata la propria sovranità in Sicilia. Consapevoli di questo, le magistrature siciliane evitarono di accendere la miccia, elencarono i danni economici che avrebbe subito l’Isola e la stessa Camera Regia, danni incalcolabili se si considera che gli Ebrei spendevano circa un milione di fiorini l’anno per abiti, bevande, cibi, che sarebbe stata la fine dei fruttuosi rapporti di affari tra ebrei e cristiani e che, essendo gran parte degli ebrei artigiani, sarebbero venuti a mancare tutti quegli arnesi da lavoro, utili alla pesca, all’agricoltura all’edilizia, che essi stessi producevano. Fatte queste considerazioni, fu deciso di circoscrivere il contrasto alla sola espulsione degli ebrei, ben sapendo che nulla si poteva fare per i “servi della Camera Regia”.

Nonostante ciò, il sovrano preferì ignorare la richiesta delle forze locali e procedere alla cacciata. Gli ebrei avrebbero dovuto lasciare la Sicilia entro il 18 settembre 1492, un lasso di tempo troppo breve per risolvere tutti i problemi conseguenti al loro esodo. Perciò i magistrati di Palermo chiesero ed ottennero dal re alcune proroghe, la data ultima della partenza venne fissata al 12 Gennaio 1493.

Gli ebrei, costretti a lasciare la loro amata isola dopo più di quindici secoli di permanenza costante, sono costretti anche a lasciarla in fretta. I beni immobili comunitari, come le sinagoghe, furono sequestrati dal potere politico, venduti come nel caso della sinagoga di Palermo o trasformati molto spesso in chiese come nel caso delle sinagoghe di Salemi e Calascibetta, divenute chiese di S. Maria della Catena[5].

Tutti i beni personali furono venduti ai cristiani che, in questo modo, trassero profitto dalla fuga ebraica. Gli ebrei cacciati, dovevano anche pagare una tassa fissata dal potere politico per coprire tutte le spese che comportava un esodo del genere.

“ . . . L’ingordo re Ferdinando considerando che alle casse del regno sarebbero venuti meno gli introiti relativi a tasse, balzelli, regalie etc, sborsati dagli ebrei, impose loro una sorta di “tassa d’uscita” per la somma di 125 mila fiorini, una cifra enorme equivalente al valore di quanto avrebbero dovuto versare in circa due anni e mezzo di tassazione diretta.

Dopo quindici giorni dalla data di emanazione dell’Editto, fu pubblicata dalla Corona una lettera con la quale si dava agli ebrei la possibilità di evitare l’esilio purché si convertissero al cristianesimo. I due provvedimenti furono a bella posta distanziati nel tempo, re Ferdinando sperava in questo modo che la conversione degli ebrei apparisse come un fatto spontaneo, piuttosto che come una costrizione[6].

Tanti ebrei, a quel punto, preferirono convertirsi alla religione cattolica sperando così in giorni migliori e mantenendo in segreto la loro tradizione religiosa. Questi nuovi convertiti, chiamati anche marrani (termine proveniente dalla parola marranos che in spagnolo significa porci)[7]. con il loro atto di conversione, non solo erano considerati cristiani di “serie b” secondo la teoria razzista della santa inquisizione, ma vedevano anche crescere nei loro confronti il sospetto ed il controllo. Durante questo periodo tanti dei nuovi convertiti finirono sul rogo o nei sotterranei dell’inquisizione, dove venivano torturati per ammettere la loro appartenenza alla religione giudaica[8].

Per contro, buona parte degli ebrei che scelsero di lasciare l’isola, trovarono rifugio presso i paesi con cui avevano avuto rapporti commerciali precedentemente: l’Africa del nord, la Turchia, la Grecia ed il Medio Oriente. Fino al secolo scorso esisteva ad Istanbul una sinagoga chiamata Messina, distinta da quelle chiamate Sicilia e antica Sicilia, come testimonianza della provenienza di tali comunità; a Salonicco, fino alla seconda guerra mondiale, esisteva una comunità di siciliani divisa in tre sinagoghe: Sicilia, antica Sicilia e la sinagoga di Beth Aaron. Altre testimonianze di comunità siciliane in Grecia si trovano a Leptano, Arta, Trikkala, Castoria e Janina. A Damasco, ancora nel 1523, esisteva una sinagoga dei siciliani e altre comunità si trovano in Siria, Tripoli, Cairo e Beirut[9]

 

La diaspora degli ebrei siciliani dopo il 1492

La Sicilia dopo Israele è il luogo dove sono più ricchi i giacimenti culturali della tradizione ebraica, risalenti alle comunità di cui si è parlato e che per 1500 anni hanno convissuto ed interagito con la nostra civiltà. Ma la Sicilia è anche il luogo dove, purtroppo, la memoria, la cultura e le tracce della presenza ebraica, sono state sistematicamente rimosse dalla presenza cosciente della popolazione attraverso un processo di cancellazione storica e delegittimazione culturale iniziata con l’Editto di espulsione del 1492.

 

[1]  Luis Suárez Fernández: Documentos acerca de la expulsión de los judíos, Valladolid, Csis, 1964, pp. 392-393.

[2] Rosa Casano del Puglia: L’editto d’espulsione degli Ebrei dalla Sicilia 1492 – Brigantino - Il Portale del Sud.

[3]  Editto per la Sicilia del 1492.

[4]  Editto per la Sicilia del 1492.

[5]  B. e G. Lagumina: op. cit., vol. III doc. DCCCXCIV, p. 45; doc. MXXXXL, p. 273; doc. MLI-MLIV, pp. 280-284.

[6]  Rosa Casano Del Puglia: 1492 L’editto d’espulsione degli ebrei dalla Sicili. Op. cit., Dal sito www.ilportaledelsud.com

[7]  B. e G. Lagumina: op. cit., vol. III, doc. MXII, pp. 220-227; doc. MXIV-MXXII, pp. 228-252; doc. MXXXIV, p. 264, doc. MLV, p. 284  286,  doc. DCCCCXV, p. 77; doc.          DCCCLXXVII, pp. 96; doc. DCCCCXL, pp. 113-115.  

F. Renda: La fine del giudaismo siciliano- ebrei marrani e inquisizione spagnola prima, durante e dopo la cacciata del 1492, Sellerio, Palermo, 1993, pp. 120-169.

[8]  J. PÈREZ: Historia de una tragedia, la expulsiòn de los judìos de Espana.  Barcelona, 1993, pp. 55-75; cfr. F. Renda , op. cit.

[9]  S. Schwarzfurchs: The sicilian jewish communities in the Ottoman empire, in Italia Judaica, op. cit. , pp. 398-41.

La Judaica Randazzo

di

Salvatore Rizzeri

 

La Stella di David nella più antica copia del testo masoretico
Il Codex Leningradensis, datato al 1008

 

Non tutti sanno che in Sicilia era presente una tra le più numerose comunità ebraiche dell’area mediterranea, fin da tempi immemori. Il 18 giugno 1492  il re di Spagna Ferdinando il Cattolico decise di cacciare tutti gli ebrei dai suoi domini e quindi anche dalla Sicilia, senza considerare il fatto che tale grave decisione avrebbe provocato una gravissima perdita nell’economia non solo dell’Isola, ma anche del Regno di Spagna.

Gli ebrei infatti, come da tradizione, avevano in mano anche in Sicilia la maggior parte delle attività commerciali; ma non erano solo banchieri e usurai, mestieri che sicuramente li avevano portati ad inimicarsi non pochi cattolici, erano infatti anche conciatori di pelli, commercianti, maestri di scuola, operai specializzati, e soprattutto medici.

Nutrite comunità giudaiche erano presenti nelle grandi città, a Palermo, a Siracusa, dove l’isola di Ortigia ne rappresentava il ghetto. Discorso simile anche a Messina.

Nella città di Palermo, tra le vie San Cristoforo, Calderai, Maqueda, Giardinaccio si trovava il quartiere in cui abitavano e commerciavano gli ebrei; la più grande sinagoga si trovava in piazza Meschita, il suo nome infatti tradisce un’origine ben precisa: la ‘Meskita’ è il luogo di culto per i musulmani; gli Ebrei di Sicilia decisero di chiamare così le loro sinagoghe, per rispetto ai loro protettori Arabi.

Grande anche la giudecca di Messina, che si trovava nel rione Paraporto, tra il Duomo e il torrente Portalegni.  

Catania è stato un importante avamposto ebraico, come testimonia l’estensione dell’area dedicata; il quartiere principale andava dall’odierna piazza Dante a piazza del Duomo. Altri studiosi hanno poi valutato la presenza di altri agglomerati giudaici, in via Recupero, accanto all’attuale chiesa dei Santi Cosmo e Damiano, e in via Sant’Anna, ove erano allocate le rispettive due Sinagoghe. Lo stesso fiume storico della città, l’Amenano, anticamente veniva chiamato, e viene ancora chiamato colloquialmente, ‘Judicello’, proprio perché passava in parte dai ghetti di: "Susu e Jusu".

Tra le più ricche ed importanti comunità della Sicilia, vi era anche la Comunità Judaica di Randazzo, di cui però non conosciamo con esattezza l’effettivo periodo storico dei primi insediamenti nella città etnea dal momento che i documenti d’archivio che avrebbero potuto darci delle risposte certe, conservate nel grande archivio storico della parrocchiale Chiesa di San Nicola, vennero interamente bruciati nel 1539 dalla soldataglia ribelle a Carlo V proveniente dalla Goletta, che per circa tre mesi (20 Gennaio – Aprile 1539) mise a ferro e fuoco la città. Però diversi indizi, quali i tipici cognomi ebraici, oltre a specifiche attività commerciali, artigianali e industriali esercitate esclusivamente dalla popolazione Judaica, riscontrabili a Randazzo fin dal X - XI secolo, ci inducono a far risalire la loro presenza nella cittadina Etnea già fin da quel periodo.

Ben inseriti nell’ambito cittadino, abitavano prevalentemente l’estrema periferia orientale della città, in quello che fù uno dei tre grandi quartieri di Randazzo, quello abitato da gente di origine latina. Accanto al Convento Benedettino di clausura di Santa Maria Maddalena (San Giorgio), sorgeva la loro Sinagoga (Meskita).

 

L'Antico Centro Storico di Randazzo

Numerosa anche la presenza ebraica nel quartiere di Santa Maria dell’Itria, “a Cunziria o Cunzaria”,  il quartiere commerciale e industriale della città, dove numerose erano le concerie e quanto connesso alla lavorazione e commercio della seta e dei tessuti. Attività queste quasi esclusivamente gestite dalla comunità ebraica della città. "Mercanti di panni" sono Nisso Quaresima, detto di Panormo, Manuele Servideo, Josef Rabibi, Abram Calabrisi.

Grave perdita per l’economia della città fu la loro cacciata a seguito dell’editto del 1492. A Randazzo intense e ricche erano le attività commerciali esercitate dalla comunità Ebraica che spaziavano dalla lavorazione delle pelli e della seta: Mosé Sacerdoto, Farachio Levi, Busacca Yhasde; al commercio dei “panni”, esportati financo a Palermo, e del vino. Numerosi erano anche i banchieri, Murdoch de Panormo, i maestri quali Busaccono de Xalo e soprattutto i medici: Manuele e Benedetto Servidei, Rasé Rabbi, Mayor de Siracusa, Yasse Rabbi e tanti altri ancora. All'atto dell'espulsione Randazzo contava la presenza di ben 170 famiglie appartenenti a questa comunità, che rappresentavano l'11,3% della  popolazione cittadina. Praticamente circa 1.200 - 1.300 elementi.

Negli articoli dedicati all’argomento, per lungo tempo trascurato e di cui si era persa quasi totalmente la memoria, tratteremo di tale importante aspetto anche grazie alle ricerche di valenti studiosi che in questi ultimi anni hanno riportato alla luce questo fondamentale spaccato della storia della Sicilia: la presenza Judaica nell’Isola e quindi anche della numerosa comunità di Randazzo.

Salvo Rizzeri